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Essere creativi è un privilegio

Alessandro Sahebi

“Io credo che l'arte esiga anzitutto pazienza e persistenza” scriveva lo scultore e pittore francese August Rodin a fine Ottocento. All’inizio del XXI secolo possiamo dire che no, non è così. Senza nulla da togliere a talento e impegno, sia chiaro. Il problema è che l’arte, o più in generale le industrie creative, oggi sono appannaggio di pochi.


 

Chi ha dovuto rinunciare ad uno stage non retribuito perché gravato dalla preoccupazione di andare incontro a spese senza avere introiti. Chi non ha avuto l’opportunità di frequentare costosi master o corsi di avviamento alla carriera. Chi magari ce l’ha fatta, indebitandosi, ma una volta entrato nell’ambiente si è accorto di non essere in possesso dei codici non scritti che determinano la postura di classe delle élite culturali e si è sentito un impostore. Chi non ha avuto una seconda possibilità, chi il tempo, chi le energie. Chi è crollato, chi è caduto, chi si è fatto male.

Le industrie creative (cinema, Tv, Arte, produzioni culturali ecc…) possono essere un inferno. O meglio, possono essere un paradiso perverso: il posto dove si materializza il sogno di una vita ma al contempo un luogo popolato di insidie e inganni narrativi. 
Caliamo la maschera: appartenere alle élite culturali fa la differenza, indipendentemente dal talento. 

Secondo il Creative Industries Policy and Evidence Centre, le persone provenienti da ambienti privilegiati hanno il doppio delle probabilità di essere impiegate nelle industrie creative rispetto a quelle provenienti da ambienti umili. C’è chi è andato più a fondo con i numeri: la percentuale delle persone che lavorano nell'editoria con radici nella working class è circa il 12,6%. Nel cinema, TV e radio del 12,4%, mentre nella musica, nello spettacolo e nelle arti visive si ferma al 18,2%. “Con l’eccezione dell’artigianato, nessuna occupazione creativa si avvicina ad avere un terzo della sua forza lavoro di origine umile. Il settore - cita anche l’autore dello studio - è socialmente chiuso e dominato dai bianchi della classe media”. 

Chi descrive la realtà, chi fa informazione, chi racconta storie e chi narra delle giuste battaglie contro il privilegio, spesso nel privilegio ha avuto origine. E si appropria della narrazione del reale, escludendo storie, paradigmi e punti di vista di chi appartiene a classi inferiori. Poche riflessioni circa i mezzi di partenza con cui le élite culturali detengono il vertice della piramide. Nessuna sulla difficoltà di adattarsi di un evaso di classe una volta che entra in ambienti a lui alieni. 

Sia chiaro, questo non vuol dire colpevolizzare chi ha avuto la fortuna di studiare nelle migliori scuole, chi si è potuto permettere di essere per molto tempo improduttivo grazie al supporto familiare e chi ha avuto il giusto capitale sociale o, come ci piace chiamarlo adesso, network. Ma bisogna prenderne atto: il vantaggio competitivo da cui nasce il successo dei pochi è il risultato di un gioco ingiusto per i tanti. E nasce dall'ingiusta distribuzione di ricchezza del nostro sistema che si declina nell’ingiusta distribuzione di lavori considerati prestigiosi e stimolanti. 

La disuguaglianza è, nei fatti, amputazione del potenziale umano: stiamo consegnando a noi stessi e ai posteri una versione distorta, classista e ingiusta del reale e delle forme artistiche che potrebbe emanare. 

Ribaltare il concetto stesso di meritocrazia per restituirci una dimensione dove tutti e tutte possono esprimere è una forma di sovversione doverosa, se vogliamo parlare di progresso. La lotta contro gli oppressori passa anche dalla liberazione della creatività degli oppressi.
 

Alessandro Sahebi

È nato a Desenzano del Garda, nel 1989. Giornalista precario, attivista, autore Tv e divulgatore. Si occupa di disuguaglianze sociali e dinamiche immateriali del mondo del lavoro. Laureato in Filosofia con tesi sui Limiti morali e politici della meritocrazia. Ha un account IG e una newsletter con oltre 20mila iscritti.

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