Inverbuire / Inverbuzione / Inverbuito/a
Noura Tafeche
Qual è la parola che descrive un tipico rapporto di forza e disequilibrio in cui l’artista lavora con precisione ma riceve pagamenti tardivi ed è soggetto a condizioni economiche opache? Nel lessico contemporaneo, non sembra ancora esserci un termine specifico, e l’onomaturgia potrebbe colmare questa lacuna. Inventare nuove parole è un’attività intellettuale sicuramente giocosa ma al contempo molto seria, soprattutto quando si tratta di inquadrare le dinamiche di trattamenti iniqui e di analizzare da vicino i frammenti della disomogenea composizione del cosiddetto “mondo del lavoro”.
Verbo, Aggettivo e Sostantivo (femminile)
Gruppo di termini atti a descrivere una particolare asimmetria di un rapporto professionale, per cui, alla richiesta di puntualità e accuratezza nello svolgere e portare a termine un lavoro, non corrisponde altrettanta puntualità e accuratezza nel riconoscimento economico, ritardando, posticipando, oppure opacizzando i termini del pagamento, legittimando così tempistiche e condizioni aleatorie e inique, a danno di chi ha svolto la prestazione, compromettendone la progettualità lavorativa ed esistenziale.
Con questo neologismo non si descrive solo la manifestazione di un atto abusivo, vi sono iscritte anche le conseguenze e i suoi effetti su chi la subisce.
Contesto
Il termine assegna un’accezione di normalizzazione dell’inverbuzione al punto da rendersi prassi diffusa e dominante, forzando chi la subisce a una condizione di disparità e adeguamento.
La posizione di un artista precario è intrinsecamente caratterizzata dall’assenza di contratti stabili e adeguati, confinando, in tal modo, la sua figura professionale a uno stato di vulnerabilità, contro cui è spesso difficile trovare tutela.
Il termine desidera inserirsi nel contesto di un’etica lavorativa che si sta faticosamente affermando o, per meglio dire, un’anti-etica che piega alle preoccupazioni di tempi incerti, al ricatto e l’imposizione coatta alla duttilità, infragilendo categorie professionali come quella dell’artista e dell’aspirante artista.
I neologismi a cui penso nascono solitamente in modo istintivo. In questo caso, l'etimo potrebbe ricondursi, più o meno coscientemente, alla sincrasi o aplologia di verbi come:
• Invertire (un processo lineare: se io sono puntuale nel lavorare, non mi paghi quando vuoi tu)
• Invalidare (la sostenibilità e la dignità di una professione)
• Retribuire (é l’argomento cardine)
• Redarguire (opporsi allo sfruttamento, rimproverando un comportamento vizioso)
• Invalso (la diffusa e ordinaria prassi dello sfruttamento)
• Diverbio (lo scontro verbale che, talvolta, si può creare )
Esempi di utilizzo nella frase
1. La Fondazione XYZ é decisamente inverbuente.
La mia mostra si è conclusa il 30 maggio e mi hanno mandato il contratto a inizio luglio! Solo allora ho potuto conoscere i termini di pagamento, che prima di allora mi erano stati comunicati solo a voce.
È avvilente come noi artisti dobbiamo quasi arrivare a mendicare il nostro onorario… certe istituzioni hanno un atteggiamento pericolosamente vago circa il compenso e io non riesco mai ad arrivare tranquilla a fine mese.
2. Ti racconto una storia: un paio di anni fa mi capitò di collaborare con l’Università Cacalitto di Milano per un evento dal titolo “Per un’Italia differente”. Nel loro discorso di apertura dissero: "Dobbiamo generare nuovi spazi di convivenza mirando alla sostenibilità e all’inclusione”. Gli oratori invitati, tra cui io, erano tutti di origine straniera. Sembrava tutto bello, ma al momento di domandare loro quando mi avrebbero pagato, prima mi hanno indicato una data, poi un’altra, e poi un’altra ancora, ovviamente sempre posticipando la scadenza.
Alla fine sai quando mi hanno pagato? A oltre 100 giorni dalla prestazione. Così ho scritto loro una mail dicendo che un’istituzione che si fregia di parlare pubblicamente di accesso alla professione, principi di sostenibilità e ideali di cambiamento, non può, nei retroscena, permettersi di contraddirne ogni principio. Questi inverbuiti non mi hanno mai risposto e nemmeno chiesto scusa!
3. “In Italia, la prassi dell’inverbuzione é particolarmente feroce ma al contempo del tutto silenziosa.”
“È vero, secondo me c’è un certo pudore a parlare di denaro, anche quando si tratta di un diritto.”
“Quello che mi dà più fastidio quando tratto con chi ha un atteggiamento inverbuente è il quantitativo di tempo che perdo a trovare un tono gentile per mandare una mail a qualche amministrazione insensibile per sbrigarsi a pagarmi.”
Genesi del neologismo
Questo termine nasce dall’esigenza di isolare una specifica porzione dei complessi processi che caratterizzano i rapporti di lavoro, comprese le molteplici ripercussioni personali, cercando al contempo di evidenziare le esperienze comuni a chi lavora nel mondo dell’arte in posizioni instabili, e che si manifestano nella quotidianità.
Inverbuzione vuole gettare luce su un concetto “matrice” lasciato come un campo in stato di abbandono le cui erbe infestanti crescono in continua espansione, un dominio così vasto e sconfinato da perderne l’orizzonte, il cui significato è ormai diventato vago e sbrigativo, ed è sfruttamento.
L’uso di un termine approssimativo, sminuisce un potere (auto-)narrativo, rischiando di incoraggiare la rassegnazione e l’acquiescenza, non solo individuale, ma di classe.
In tal modo si rende sommaria non solo la parola, ma la condizione di vita e le storie che tentiamo di definire e rendere comunicabili, giacché l’inefficacia del vocabolo si ripercuoterebbe nei confronti del suo stesso fine: individuare un processo per cambiarne rotta, modificarne il funzionamento o distruggerne gli ingranaggi marciti.
Ode al neologismo
Per quanto l’illusione di descrivere con precisione il mondo rimanga un’instancabile fatica di Sisifo, il neologismo giunge, tra i tanti suoi fini, ad arricchire e complementare di informazioni verbali una realtà.
Se le parole potessero essere tangibili, accertabili attraverso la materia, come se fossero composte da grani, potremmo passarne al setaccio alcune di quelle ingombranti e grossolane come capitalismo, futuro, sfruttamento, sostenibilità, cura, cambiamento.
La maglia stretta del retino tratterebbe i grani selezionando quelli più piccoli. Sono quelli di grammatura più fine a destare maggiormente la mia attenzione. Necessitiamo di diottrie sfacciate e una lente imponente per riconoscere particelle invisibili a occhio nudo di meccanismi più grandi.
Inverbuzione non é solo un sostantivo, un’entità che si manifesta senza inizio o fine, ma è un verbo, ossia è un’azione che si svolge e determina un soggetto che lo compie e individua un soggetto che lo subisce. Lontano dal considerarci pure vittime, inverbuire non vuole limitarsi a protrarre una querimonia già esasperata, ma vuole ispirare fortemente a trovare il suo contrario.
È una di quelle parole, ad esempio, che riescono bene se inventate ragionandoci insieme, prima ognunə a casa propria e poi un pomeriggio al parco con le proprie amicizie, o alla fine di una riunione. Inventare neologismi non è che un espediente narrativo, talvolta situato alla soglia del ludico e del solenne, per poter riconnettere conversazioni tra pari, ravvivare la fiamma di uno stato di agitazione, o coordinare iniziative per remare contro rapporti di forza che proliferano indisturbati.
Alcuni suggerimenti sperimentali per un neologismo di successo
Penso che il suono dei neologismi possa essere modulato a seconda dell’uso che se ne vuole fare. Se una parola vuole urlare il suo diritto ad esistere, è scaltro impiantare nel suo suono una nota versatile al fine di facilitare la scorrevolezza della sua pronuncia.
Se già il contesto sociale in cui quella ingiustizia prospera, è perfino capace di opprimere la possibilità di essere denunciata, il movimento ritmico (mi piace speculare sul potenziale magico delle parole) potrebbe aiutare a sconfiggere in astuzia la ritrosia nell’ammetterla.
Il suono, a mio avviso, non ha solo lo scopo di produrre piacere nell’ascolto e pronuncia, ma rimanendo foneticamente fluido, memorizzabile, può favorire la sua replicabilità.
Le parole agiscono come dei memi, sgomitano per la loro sopravvivenza.
Se leggendo queste righe qualcunə si riconosce negli argomenti trattati, vi invito a sentirvi liberə di iniziare a usare questa parola, a diffonderla tra professionisti del vostro settore, o a utilizzarla nel momento del bisogno nelle mail più pugnaci.
Noura Tafeche
Noura Tafeche è un’artista visiva, ricercatrice indipendente e onomaturga. Si è laureata in Nuove Tecnologie per l’Arte presso l’Accademia di Brera, con un particolare focus sul campo del net.art e dell’intrattenimento radicale. Il suo percorso artistico si sviluppa attraverso metodi e pratiche laboratoriali, video, installazioni, onomaturgia e disegno in miniatura. Le sue aree di ricerca approfondiscono lo studio dei fenomeni legati alle culture visuali online, all’estetizzazione della violenza sulle piattaforme digitali, alla sperimentazione linguistica e alla rappresentazione visiva dell’immaginario speculativo.