AWIRE
Tea Andreoletti, Sofia Baldi-Pighi, Nicoletta Fazio, Francesca Masoero, Alice Pedroletti, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti
Baci da AWI incontra alcune associate che vivono in uno stato di costante mobilità data dalla natura del lavoro artistico che molto spesso richiede lo spostamento attraverso diversi paesi del mondo. In questa puntata si approfondiscono i legami che le ospiti hanno con il nostro paese e si parla delle buone e cattive pratiche all’interno del settore
Highlight
- Presentazione 00:00:00
- Perché in geografie fuori dall’Italia 00:06:21
- Buone e cattive pratiche all’estero 00:13:38
- Altri contesti, altri rapporti con arte e cultura 00:27:14
- Come cambia la percezione dell’Italia 00:40:05
- Cartoline 00:51:53
Presentazione
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Fabiola Fiocco: Ciao a tutte e a tutti e benvenute a Baci da AWI, un progetto editoriale di Art Workers Italia ospitato dal Giornale dell’Arte. Trovate l’indirizzo al sito nella descrizione del podcast. Baci da AWI racconta come le lavoratrici dell’arte e della cultura si muovono nell’attuale scenario economico e produttivo italiano. È un contenitore di pratiche, resistenze ed esperienze che raccoglie contenuti crossmediali: podcast, interviste, saggi brevi e appunti di viaggio in forma audiovisiva realizzati dalle socie di AWI insieme ad associazioni, organizzazioni e persone alleate. Abbiamo pensato ad un diario di viaggio che tocca diverse regioni della penisola per restituire una fotografia del paese reale da nord a sud, tra centro e periferia, che mette in discussione le narrazioni dominanti e anacronistiche che vedono l’Italia come un luogo meraviglioso ma immobile.
Alessandra Saviotti: Baci da AWI è un toolkit aperto, assemblato collettivamente per orientarsi nel settore dell’arte contemporanea e immaginare altri modi di praticare il lavoro culturale e artistico. Fino a giugno 2024 ospiteremo lavoratrici, lavoratori, attiviste e attivisti per parlare del tema del lavoro artistico e culturale contemporaneo, in particolare analizzando gli strumenti che le lavoratrici dell’arte possono utilizzare per orientarsi nel settore. Per realizzare questa puntata abbiamo lanciato una chiamata interna all’associazione per capire di che cosa si occupano gli associati e le associate ad Art Workers Italia, come contribuiscono all’associazione e quali sono le buone e anche le cattive pratiche all’interno del settore. Dato che un consistente numero di associati ed associate è però residente all’estero oppure vive in uno stato di costante mobilità perché la natura del lavoro artistico lo richiede, abbiamo pensato di approfondire il legame che esiste tra Italia e gli altri paesi in cui le nostre ospiti risiedono.
[F.F.]: Per cui siamo oggi qui con Tea Andreoletti, Sofia Baldi Pighi, Nicoletta Fazio, Francesca Masoero e Alice Pedroletti, benvenute a tutte. Noi siamo Fabiola Fiocco e Alessandra Saviotti e modereremo la conversazione. Per cominciare vorremmo fare un breve giro di presentazioni entrando magari già nel vivo della puntata, ovvero dove siete e perché avete deciso di associarvi ad AWI.
Tea Andreoletti: Ciao, io sono Tea Andreoletti, lavoro come artista nel campo della performance e live art. Mi trovo a Helsinki, in Finlandia, dove lavoro da ormai quattro anni. Mi sono associata ad AWI perché nel mentre ho co-fondato un’associazione culturale in Italia, CAP24020, che si occupa di pratiche artistiche contemporanee nel territorio dell’Alta Valle Seriana. Da qui il mio interesse ad associarmi ad AWI.
Sofia Baldi Pighi: Ciao a tutte e tutti, io sono Sofia Baldi Pighi, al momento mi trovo a Malta, sono qui perché sono la direttrice artistica della Biennale… sarà la Biennale alla sua primissima edizione. Ho deciso di associarmi ad AWI perché finita l’Accademia è stato per me un baluardo nell’orientarmi a livello di contratti, tariffari minimi e quindi capire quali fossero i miei diritti come lavoratrice del mondo dell’arte.
Francesca Masoero: Ciao a tutte e tutti, io sono Francesca Masoero, sono curatrice e programmatrice culturale basata principalmente in Marocco, a Marrakesh, da diversi anni, dove collaboro principalmente con varie associazioni e collettivi locali. Il mio coinvolgimento in AWI è cominciato nel suo periodo di formazione durante la pandemia, che tra l’altro ha coinciso con la mia più lunga permanenza, in parte forzata, in Italia dai tempi dell’università… Era un momento in cui, come penso per molti di noi, abbiamo preso coscienza della fragilità del nostro settore, della nostra frammentazione in quanto lavoratrici e del bisogno innanzitutto di formarci collettivamente… e penso che siano ancora oggi queste le ragioni di AWI e del suo lavoro.
Alice Pedroletti: Ciao a tutte e a tutti, io sono Alice Pedroletti, sono artista e ricercatrice. Sono anch’io in AWI dall’inizio, dal periodo della pandemia… è stato credo abbastanza spontaneo per me, per il mio tipo di formazione, avvicinarmi ad altre persone, ad altre lavoratrici in un momento di crisi, di bisogno, che in realtà era solo purtroppo il sintomo di un problema ben più ampio. Sono a Berlino in questo momento dove mi sono trasferita tre anni fa con una borsa di studio e dove poi ho deciso di rimanere. Sono ancora oggi associata ad AWI e come posso collaboro e partecipo alle iniziative.
Nicoletta Fazio: Ciao a tutti e a tutte, sono Nicoletta Fazio, sono curatrice medievista, mi trovo a Doha, in Qatar, da circa sei anni… prima ho avuto una vita piuttosto peripatetica. Ho deciso di iscrivermi ad AWI da un anno, poco più di un anno… ho conosciuto AWI tramite Instagram. Nonostante io abbia un lavoro abbastanza stabile, proprio per via della pandemia mi sono accorta di alcune… soprattutto tramite altri colleghi residenti in altri stati esteri… delle fragilità del sistema, non solamente italiano ma diciamo a livello internazionale e quindi ho deciso di cominciare a tirarmi su le maniche e lavorare in maniera un pochino più attiva nel settore e avere una voce un pochino più forte.
Perché in geografie fuori dall’Italia
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Alessandra Saviotti: Grazie mille a tutte per questo primo giro, molto interessante anche capire le diverse geografie in cui vi trovate e ci troviamo tutte quante. E appunto per questo, per entrarmi magari un po’ nel vivo della conversazione, vorrei chiedere se avete voglia di raccontarci un po’ di più di come siete arrivate nel paese in cui vi trovate ora, oppure nelle geografie nelle quali vi muovete… perché appunto abbiamo capito che siete in un luogo, ovviamente il lavoro e la vita vi porta anche in altri luoghi, e come avete deciso però di restare e lavorare nel paese in cui siete arrivate o che avete scelto?
[T.A.]: Io mi sono inizialmente trasferita a Helsinki in Finlandia per un master in live art e performance e poi ho deciso di rimanere… un po’ perché sono stata catturata dalla cultura finlandese, la natura, ma soprattutto perché essere in Finlandia mi ha permesso di lavorare full time come artista e portare avanti la mia ricerca. Quindi ad oggi ho due grant che mi stanno supportando in questo e quindi sono rimasta proprio perché qui ho sentito che essere artisti era considerato un lavoro vero e proprio… con un contratto, con un supporto finanziario e con dei grant, che aiutano. Questo dal punto di vista lavorativo, invece da un punto di vista personale, sono rimasta perché, ad esempio, la sera, tornare a casa da sola e camminare nella foresta ad Helsinki non mi faceva paura. Quindi anche solo questa libertà di camminare la notte da sola è stato uno dei motivi che mi ha spinto poi a rimanere in Finlandia.
[A.P.]: La mia storia è forse un po’ più complessa nel senso che io ho fatto per tanti anni la fotografa in ambito commerciale, quindi l’arte era una sorta di sogno parallelo alla mia vita, però ovviamente dovendo lavorare mi sono dovuta concentrare molto su quella che era una carriera, appunto. E questo però mi ha consentito anche di viaggiare tantissimo in Italia, girarla molto per lavoro e anche subito, fin da giovanissima, girare abbastanza l’Europa. Poi nel momento in cui ho lasciato la fotografia e ho iniziato a intraprendere, già in età abbastanza… in su, diciamo, per il nostro sistema italiano soprattutto… ho iniziato a intraprendere la carriera d’artista. Ho viaggiato per cinque anni negli Stati Uniti, poi ho fatto Cina, Olanda e Italia di nuovo. Per cui ho avuto un’esperienza e un’autoformazione, perché io non vengo da un percorso accademico… ho un percorso molto diverso, molto itinerante in cui mi sono confrontata con dei sistemi di lavoro commerciale, ma anche dei sistemi artistici molto diversi dal nostro, che io conoscevo come conoscevo il nostro: in modo abbastanza superficiale, perché non avendo fatto l’artista, non avendo studiato da artista, era per me tutto molto curioso, e tutto molto nuovo. E poi ho deciso di fermarmi in Europa, sono stata appunto un po’ in Olanda, ho fatto altre esperienze più brevi in Francia, in Inghilterra, e poi mi sono innamorata di Berlino… molto tardi rispetto all’innamoramento un po’ classico berlinese che avviene per gli italiani, che di solito coincide con il post-accademia. Ho iniziato a venire qui spesso, poi è arrivata la pandemia, e durante la pandemia avevo già vinto una residenza, ho deciso di fare application per un grant italiano, l’ho vinto e mi sono trasferita… quindi in un momento storico molto difficile, molto strano, molto particolare, sia per il nostro paese che per il loro. Credo che il motivo per cui poi mi sono fermata qui è intanto la vicinanza con l’Italia e comunque con la famiglia, per cui avevo bisogno, dopo tanti tanti tanti anni di essere nomade, di poter stare in un posto dove mi trovavo bene, un posto internazionale, dove potessi confrontarmi con diverse persone, diverse culture, ma anche essere vicino a casa mia, per cui poter lavorare in Italia, dove ancora lavoro, e quindi poter essere attiva anche nel mio paese, cercando di portare a modo mio quella che è la mia esperienza, cercare di aiutare dove possibile, ma anche essere fuori dai confini del mio paese che fin da bambina mi sono stati abbastanza stretti. Per cui queste sono un po’ le mie motivazioni.
[F.M.]: È stato un movimento molto di pancia e di cuore, sicuramente non troppo strategico a livello di stabilità professionale, nel senso che in Marocco, come di fatto anche in Italia, il settore artistico e culturale è abbastanza misconosciuto, deregolamentato, e sì, manca di moltissimi strumenti di sostegno e protezione. Ci sono arrivata non avendo neanch’io fatto un percorso accademico nel settore dell’arte o di storia dell’arte… arrivo più da studi di politiche economiche e studi postcoloniali, e quindi avevo un interesse a muovermi al di fuori di geografie, diciamo, dell’Occidente… e attraverso l’incontro con alcuni artisti e ricercatori che erano in Marocco mi sono avvicinata a quel paese, e poi nello specifico alla città di Marrakesh, dove appunto dal 2015 mi sono molto, insomma, molto investita e in cui sono cresciuta sia personalmente sia professionalmente moltissimo… e che è stata anche una geografia di partenza per cominciare a muovermi in altre geografie, direi in particolare del Mediterraneo, in parte ovviamente anche europee… quelle europee sono sempre state più dettate da fondi disponibili che altro, obiettivamente, cosa che è abbastanza interessante, tra l’altro, da osservare come determinati fondi decidono in certi momenti di occuparsi o di sostenere una scena artistica come quella del Marocco per evidenti ragioni politiche. Niente… penso per adesso sia tutto.
Buone e cattive pratiche all’estero
00:13:38
[F.F.]: Grazie mille. Vorrei collegarmi appunto a questo discorso che ha fatto adesso Francesca e cogliere l’opportunità di avere anche delle esperienze che vengono da mappature non tradizionali, rispetto ai centri più canonici dell’arte contemporanea, e chiedervi a quali strumenti avete potuto accedere per orientarvi in ambito lavorativo ma anche finanziario, come diceva giustamente Francesca, e chi li mette a disposizione… quindi un po’ il classico concetto di buone e cattive pratiche.
[F.M.]: Posso magari concludere, visto che avevo un po’ introdotto… diciamo che il contesto del Marocco è, come dicevo, molto deregolamentato. Tra l’altro, per me è stato interessante osservare come durante la pandemia lo stesso tipo di ragionamenti… e anche questo processo di presa di coscienza che per certi versi si è attivato in AWI, si era attivato anche, per esempio, fra diversi lavoratori e lavoratrici del settore culturale in Marocco, senza purtroppo portare alla creazione di una realtà così stabile come lo è AWI oggi in Italia. Diciamo che in Marocco la scena artistica vive di strumenti che si autoproducono fondamentalmente: dalla creazione appunto di contratti in cui a mia conoscenza c’è una sola persona su tutto il Marocco che ha provato a costruire dei modelli applicabili per i copyrights eccetera... fino a, ovviamente, la questione dei finanziamenti e dei bandi. Nel senso che non c’è fondamentalmente nessun bando di tipo pubblico che è disponibile e, per quanto riguarda quantomeno gli artisti, in sé per sé anche la scena del collezionismo è abbastanza ridotta ed è molto diretta a collezionare un certo tipo di lavori e non certamente altri. Nella mia esperienza, lavorando con associazioni, con centri culturali che hanno un lavoro che potremmo forse definire partecipativo e socially engaged eccetera abbiamo nel tempo identificato, a livello finanziario quantomeno, fondi soprattutto che vengono dall’Unione Europea, magari non direttamente dall’Unione Europea però comunque tramite Unione Europea piuttosto che British Council, piuttosto che molti fondi olandesi… come dicevo ci sono alcuni paesi che chiaramente sentono una certa necessità tra virgolette di creare dei ponti di dialogo, a volte molto problematici, con una geografia come il Marocco. Però come dicevo è stato abbastanza un percorso di autoformazione non solo personale ma anche all’interno delle realtà in cui mi sono inserita a lavorare.
[T.A.]: Posso continuare da qui e raccontare uno scenario diverso, e sicuramente privilegiato, che è quello del mondo culturale nel nord Europa. In Finlandia lo strumento principale a cui ho potuto accedere sono stati i grant sia pubblici che privati, che ad oggi rimangono la principale fonte di sussidi per le persone che lavorano nel mondo dell’arte. Quindi se da un lato riescono a finanziare tantissimo tutto quello che è il mondo culturale, dall’altro però i grant e le fondazioni che ci stanno dietro sicuramente hanno il potere di direzionare, selezionare un po’ quelle che sono le tematiche e anche i tipi di ricerca che poi hanno la possibilità di avere spazio e di potersi esprimere. Se poi penso alle buone pratiche che ho imparato qui e che cerco di portare con me nella mia pratica artistica c’è la collaborazione tra artiste e artisti. Io arrivo dal campo delle arti visive e ho sempre avuto un po’ la tendenza a lavorare da sola, mentre invece in questo contesto ti chiedono di collaborare, di pensare a progetti insieme anche perché si han più possibilità di ricevere questi grant… ma grazie a questo si crea un clima che direi è un po’ più di collaborazione rispetto alla competizione che invece ho sentito spesso nel mio percorso. E pensando a questa idea di collaborazione mi viene in mente che alla fine anche in Finlandia i principali strumenti poi sono associazioni, community, piccole comunità… che non sono grandi istituzioni culturali ma piccole realtà che, grazie ai loro progetti e alla loro ricerca, mettono a disposizione delle open source. Ad esempio, penso a “Feminist Culture House” o “NO NIIN Magazine” che hanno immaginato dei contratti che tengono in considerazione anche tutto quello che è il free labor come il tempo per i meeting, inviare le bio, le fotografie o il tempo per applicare alle open call, che spesso non viene considerato un lavoro e non è inserito all’interno dei contratti. Oppure altra realtà molto interessante con base a Helsinki è “Stop Hatred Now”, una piattaforma che ogni anno dà la possibilità a istituzioni del mondo dell’arte come musei, fondazioni, gallerie, associazioni di riunirsi e di aprire un dialogo per reimmaginare insieme le proprie strutture e quindi pensare a come possono diventare più inclusive, accessibili e come possono aiutare il lavoro artistico a diventare più sostenibile. Poi finisco con uno strumento un po’ più burocratico che sono queste piattaforme, io ad esempio uso LASKU, che ti permettono di fatturare le tue artist fee anche se non si ha una partita IVA.
[A.P.]: Ma magari una cosa veloce potrei dirla sul sistema tedesco, anche se forse una sorta di piccola premessa a questa cosa va anche detta… cioè che essendo noi, tranne Francesca e Nicoletta, però noi tre perlomeno stiamo parlando di un’esperienza europea e quindi comunque al di là del sistema che il singolo Stato poi provvede a fornire agli artisti o agli art workers, a seconda che siano curatori, artisti, performer o teatro o danza, quel che è… noi in quanto cittadini europei possiamo anche continuare a lavorare con la nostra partita IVA all’estero, in un altro Stato europeo. Per cui diciamo che entriamo nel sistema dello Stato che ci ospita nel momento in cui riusciamo concretamente a lavorare nello Stato in cui ci ospita. Ma se quella cosa non succede per svariati motivi… per discontinuità di presenza o per inaccessibilità a determinati grant, per esempio io sto a Berlino, la Germania è federale, a Berlino c’è un numero altissimo di artisti e chiaramente c’è un’enorme competizione anche proprio per i fondi e per i finanziamenti… però da europea ammetto che questa cosa incide ma fino a un certo punto perché io posso tranquillamente continuare a lavorare in Italia o posso anche lavorare in altri paesi europei pur risiedendo in un altro Stato ancora. E questo è sicuramente un grandissimo privilegio. Una cosa che mi è venuta in mente prima e che per esempio a me ha colpito quando sono arrivata qui venendo da un’esperienza molto giovane come quella di AWI, è che qui la prima realtà con cui ti confronti è BBK, questa associazione di artisti che però si occupa esclusivamente di artisti. Mentre la cosa che io trovo interessante nella complessità strutturale, organizzativa e anche gestionale però di AWI è che noi invece ci occupiamo di art workers in generale… cioè noi guardiamo la catena del settore culturale in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi attori partecipanti, mentre spesso le associazioni di altri paesi, soprattutto quelle più antiche, si focalizzano principalmente sugli artisti. Questo fa sì che a livello locale, appunto sugli artisti, siano molto molto forti e abbiano anche voce in capitolo anche a livello politico per esempio nei paesi del nord. Però fa sì che questo escluda anche un sacco di altre persone che appartengono al settore culturale e che hanno bisogno di sostegno e di appoggio, anche solo di consulenza. Per esempio, e poi chiudo, in Germania, a Berlino, ci sono dei grant nazionali a cui si può partecipare e c’è un ricambio forzato, nel senso che se partecipi e non vieni preso devi aspettare almeno due anni prima di fare di nuovo domanda. Ecco, per esempio questa è una soluzione molto semplice ma anche molto intelligente, che in molti altri grant non c’è, anche a livello mondiale dico, e che fa sì che, appunto tornando al concetto di competizione che poi ricade anche sul concetto di open call e su una filiera che non ha sufficienti fondi per sopravvivere… che secondo me è una buona soluzione o comunque potrebbe essere una cosa da tenere in considerazione.
[N.F.]: Se posso aggiungere qualcosa da parte della mia esperienza, visto che prima di muovermi nel Medio Oriente, nel Golfo, io risiedevo a Berlino, quindi riesco a dare un’altra prospettiva rispetto ad Alice, dal momento che io ho lavorato nel pubblico, in organizzazioni piuttosto grosse e per quanto si possa, ad esempio, glorificare o comunque magnificare la situazione all’estero rispetto a quella che è l’Italia… comunque l’Italia diciamo dei musei pubblici che siano civici, che siano statali, insomma nazionali… c’è un problema ad esempio di risorse economiche: quindi i contratti, sono contratti che ho dovuto anch’io firmare, non permettono una vita particolarmente dignitosa se mi passate il termine. Ovvio che Berlino è una città che può offrire tanto e che non è ancora particolarmente... Almeno, adesso non lo so, è da molti anni che sono fuori dalla capitale tedesca, però i prezzi cominciavano già a salire e noi si aveva dei contratti che non raggiungevano neanche gli 8 euro all’ora per un lavoro a tempo pieno, 40 ore alla settimana. E con un PhD in mano, per cui non è che si parlava di persone appena arrivate, ma di gente con già alle spalle una certa esperienza. Questo l’ho notato anche in Inghilterra, dove mi sono mossa prima ancora di raggiungere la Germania e, ripeto, credo che sia una questione proprio dal punto di vista del sistema culturale, a prescindere che si parli di artisti oppure di art workers o di professionisti museali, che è ancora particolarmente difficile e le persone attorno a me che si sono potute permettere questa vita erano e sono tuttora persone che o hanno un’altra fonte di reddito oppure che provengono da famiglie che possono permettersi di lasciare andare certi… investimenti. E poter vivere anche senza uno stipendio stabile o uno stipendio che permette effettivamente anche di mettere da parte qualcosa… in maniera così brutale. Poi la situazione nel golfo è molto diversa ma appunto ci muoviamo in un’area dove non esistono i sindacati e in paesi con regimi, quindi cose molto diverse sotto tantissimi aspetti.
Altri contesti, altri rapporti con arte e cultura
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[A.S.]: Grazie per questo giro anche molto interessante rispetto proprio al tipo di risorse, alla percezione anche dell’arte e la cultura all’interno dei vostri contesti. Quindi sulla linea di questo volevo magari approfondire questo aspetto di cui parlava appunto Nicoletta, per cui se ti va Nicoletta di rispondere alla prossima domanda sarebbe interessante capire che tipo di rapporto c’è secondo voi con l’arte e la cultura nei contesti ovviamente in cui vi trovate e come influisce questo sulla percezione vostra settoriale ma anche generale del lavoro artistico.
[N.F.]: C’è un interesse verso l’arte e senza emettere giudizi qua è possibile praticamente essere tutti artisti, se uno vuole. Ovviamente se uno ha la cittadinanza qatariota, che non è una cosa semplice se non quasi impossibile da ottenere. Il paese è molto ricco quindi c’è, diciamo, disponibilità di mezzi e c’è il lusso di potersi prendere del tempo e di poter effettivamente lavorare nel campo dell’arte. Quindi la scena artistica è viva. Ovviamente ha delle limitazioni perché il paese esercita censura culturale sotto molti aspetti. E c’è una generale tendenza a lasciare da parte una certa critica intellettuale e il pensiero critico. Questa è una cosa che non è specifica del Qatar ma è specifica, diciamo, di tutti i paesi del golfo e ci metto dentro anche l’Arabia Saudita che sta avendo un’espansione in questo senso… diciamo che si stanno anche ripulendo la coscienza sotto molti aspetti… e ovviamente gli Emirati che sono diventati il nuovo centro culturale con tutti i loro franchise e i nuovi musei nazionali. Quindi sì, c’è un interesse verso l’arte a seconda di dove si lavora e in che settore. Io mi occupo di arte islamica e sono una medievista, quindi lavoro con gente che è morta da diversi secoli, fortunatamente, perché a volte lavorare con gli artisti viventi non è facile. Quindi noi abbiamo dinamiche diverse rispetto ad altre istituzioni che cercano invece di finanziare la produzione artistica locale. Però per esercitare la propria professione di artista bisogna avere il permesso di soggiorno, bisogna risiedere nel paese. Questo credo sia qualcosa che riguarda in senso lato tutti i paesi del Golfo, quindi da una parte c’è la possibilità di fare qualcosa, c’è la possibilità di reperire fondi, ma dall’altra c’è la limitazione fisica di risiedere nel paese che ti ospita. Non un permesso turistico ma un effettivo permesso di soggiorno.
[S.B.P.]: Invece io mi trovo a Malta, in una prospettiva europea, comunque abbastanza particolare nel senso che Malta, nonostante sia in Europa, è un paradiso fiscale, è un porto franco, è uno degli unici paesi d’Europa che non riconosce il diritto all’aborto. Quindi siamo in Europa ma le questioni sono differenti rispetto ad altri luoghi. Mi trovo qui per fare una Biennale, quindi la prospettiva internazionale del progetto ha cambiato moltissimo la mia percezione dell’arte e anche delle opere d’arte. Vi faccio un esempio: è una Biennale e abbiamo anche i padiglioni nazionali e ho capito quanto fosse anche una decisione politica, ad esempio, decidere dove mettere i padiglioni nazionali. Perché metterlo nella capitale è un certo tipo di scelta, decidere, ad esempio, padiglione Ucraina con quali altri padiglioni confinerà… quindi ci si rende conto in realtà all’estero, che la bolla dell’arte in cui pensiamo di essere, in cui a volte siamo da un punto di vista teorico-concettuale, però in realtà all’estero ti rendi conto che l’arte non è mai solo arte, anzi è soprattutto soft power, quindi ti rendi conto anche soprattutto il ruolo che hanno le ambasciate. Io ho scelto di fare un invito ufficiale alla Palestina per far parte della Biennale di Malta, perché so che non può partecipare alla Biennale di Venezia, perché come Stato Italia noi non la riconosciamo… Malta riconosce la Palestina come stato autonomo e quindi abbiamo deciso di avere questa scelta. Dall’altra parte ti rendi anche conto che ci sono anche padiglioni nazionali, quindi con l’ok del proprio governo e ambasciata, che non per questo però hanno la possibilità di raccontare quello che succede e quindi come biennale a una prima edizione ho deciso di aprire la possibilità di partecipare anche a padiglioni tematici. Questa per me è stata un po’ una strategia per cercare di non rimanere confinata, appunto, al confine nazionale, ma di poter invece cercare di trattare questioni che probabilmente i governi non avrebbero appoggiato gli artisti e le artiste che le avrebbero portate. Ecco perché credo che un evento culturale internazionale come una biennale ha il compito di portare delle questioni sensibili… a differenza di Nicoletta noi trattiamo con artisti vivi e vegeti che sentono sulla propria pelle queste questioni e abbiamo in qualche modo il dovere di innescare questo tipo di dibattito, con ovviamente l’auspicio che lo spazio espositivo, lo spazio culturale sia sempre un luogo sicuro dove anche opinioni discordanti e tematiche difficili possano avere casa e sede senza per questo generare conflitto.
[F.M.]: Magari mi inserisco per condividere una breve riflessione sul Marocco che magari è una geografia un po’ meno conosciuta da molti. Pensandoci, mi rendo conto ci sono delle similitudine con l’Italia nel senso che ovviamente il Marocco è conosciuto anche a livello internazionale come un paese ricco di cultura, culture antiche, molto patrimonio, materiale e immateriale… Diciamo che una parte di questo patrimonio, a livello statale e politico, è certamente riconosciuto ed è diventato, anzi, soprattutto se prendiamo il caso di Marrakech che è veramente il più rappresentativo a livello nazionale, è diventato un po’ il capitale culturale su cui si fonda poi il capitale economico, nello specifico della città e del settore turistico. Però un patrimonio che è stato pesantemente folklorizzato e messo in avanti in maniera ultra selettiva, portando invece alla morte o alla quasi morte di molte pratiche. Un’altra dimensione che è molto problematica ed è comunque conseguenza del discorso che stavo facendo è un accentramento delle poche possibilità e opportunità per il settore culturale all’interno dei grandi centri urbani rispetto alle realtà più piccole… che ha conseguenze abbastanza drammatiche di spopolamento ovviamente delle campagne, ma anche delle città di taglia media. Se guardiamo anche soltanto al settore delle arti visive o performative, la maggior parte delle giovani generazioni… quelle più anziane stanno un po’ tornando alle origini nel momento in cui hanno una capacità economica di farlo… però le giovani generazioni si concentrano tutte su due o tre città, nonostante l’infrastruttura sia debolissima se parliamo di arti contemporanee di qualunque genere, performative o non performative. Quindi la scelta di diventare artista o di lavorare nel settore culturale contemporaneo, visto che abbiamo fatto la distinzione prima, io la definirei quasi una scelta militante sotto tutti i punti di vista, anche perché molto spesso, ovviamente non sempre, dipende dai percorsi personali e le storie familiari di ognuno, ma spesso porta anche a delle rotture importanti con le proprie famiglie, nel tipo di lavoro, di comunità che si decide di abbracciare. Visto che c’era un po’ il tema della censura che avevamo evocato precedentemente. La monarchia marocchina è una monarchia che si è sempre mossa in uno spazio ambiguo tra oppressione e repressione. Questo si applica anche al nostro settore, nel senso che ci sono determinati temi che si sa non si possono discutere e non si possono portare alla luce in ogni caso, a meno che non si voglia incorrere in conseguenze estremamente pesanti. Per quanto riguarda altri temi, tendenzialmente si lascia uno spazio di presa di parola, finché resta una parola che circola in circoli abbastanza chiusi… alla fine, parlandoci chiaro, il nostro settore è un circolo chiuso… c’è un certo spazio di manovra e di libertà in quel senso lì, però ci sono stati soprattutto negli ultimi anni moltissimi casi, innanzitutto di giornalisti arrestati anche per critiche non particolarmente aggressive nei confronti soprattutto del potere centrale stesso. Quindi diciamo che le nuove generazioni o le generazioni che non hanno vissuto le repressioni politiche del monarca precedente, di Hassan II, hanno, forse in maniera implicita e spontanea, adottato delle forme di lotte o critica politica mai veramente frontale, ma sempre un pochino trasversale appunto come forma di resilienza fondamentalmente.
Come cambia la percezione dell’Italia
00:40:05
[F.F.]: Grazie mille Francesca, grazie mille tutte per le esperienze che state condividendo. Penso, oltre ad avere un panorama davvero eterogeneo di quello che è il lavoro dell’arte direi quasi nel mondo, emerge anche come parlare di lavoro dell’arte come lavoro ci permette di affrontare gli aspetti più complessi e anche il modo in cui l’arte è un luogo in cui si intersecano tante direttrici diverse, quindi non solo culturali ma anche politiche, economiche, come diceva giustamente Sofia, tutta la questione del soft power. Vorrei invece adesso ribaltare un po’ la domanda che ha fatto precedentemente Alessandra e chiedervi com’è cambiato il modo in cui guardate al settore artistico italiano. E quindi come questa esperienza all’estero ha, forse, cambiato il modo in cui vedete esperienze che avete fatto in passato o anche il contesto attuale e le persone, i legami che avete ancora.
[S.B.P.]: Nel mio caso personale è cambiato molto il modo di vedere il sistema italiano sia dopo l’esperienza che ho fatto in Corea, lavorando per la Biennale di Gwangju, dove è stato palese quanto un paese che sta vivendo un boom economico, spesso corrisponde, o almeno sicuramente nel caso della Corea, a un boom culturale e quindi il finanziamento che hanno gli artisti coreani è veramente impensabile direi per qualsiasi cittadina o cittadina europea… perché hanno un budget di produzione che si aggira annualmente sui 200-300k solo per immaginare i progetti. Quindi questo dà forma a idee di una scala totalmente diversa e questo per me, come curatrice, ha comportato la necessità di andare agli studio visit degli artisti coreani, e quindi poi con invece quelli italiani ed europei avendo ben chiara questa cosa… perché chiaramente con questo tipo di budget poi la forma del progetto e la modalità in cui la presenti cambia totalmente e quindi è un esercizio molto utile credo per noi curatrici e curatori, capire il punto di partenza da cui l’artista parla quando ci presenta il suo lavoro. Devo anche dire che mi ha permesso di rendermi conto di quanto, ad esempio l’esperienza di AWI, per quanto recente, sia stata fondamentale nel contesto italiano e non esiste ad esempio ancora un AWI a Malta e questo provoca appunto una mancanza di consapevolezza, di diritti e anche di giustizia economica necessaria al professionista del mondo dell’arte. Dall’altra parte, mi ha anche insegnato a rendermi conto di alcune agevolazioni fiscali che ha un sistema come quello maltese, ad esempio uno sponsor maltese, o meglio che abbia residenza fiscale a Malta, per un evento culturale gode del 150% di riduzione dalle tasse. Questo significa che, di fatto, nel momento in cui vai a intercettare degli sponsor non stai chiedendo di investire ma anzi gli stai portando tu a casa un’agevolazione fiscale. Questo permette un dinamismo in teoria fortissimo, perlomeno rispetto agli strumenti che abbiamo noi in Italia, per intercettare gli sponsor. Purtroppo qui a Malta ad oggi è veramente poco usato. Però la legge esiste e quindi in realtà ecco perché un’unificazione fra lavoratori e lavoratrici dell’arte è doverosa proprio per conoscere anche questi strumenti che molto spesso, esistono e ne ignoriamo la possibilità. E unendo esperienze altrui in qualche modo possiamo generare. E mi riallaccio poi a quello che diceva Francesca nella domanda precedente, semplicemente nel senso che questa esperienza all’estero mi sta insegnando anche l’importanza che hanno gli artisti che hanno, tra virgolette, già fatto carriera nel proteggere chi ancora non l’ha fatta. Ad esempio, nella nostra biennale abbiamo sia artisti e artiste emergenti che artiste più strutturate ed è straordinario vedere quanto coloro che hanno già fatto esperienze di mostre internazionali, hanno già un seguito anche a livello mediatico e di stampa. Questo protegge la ricerca di tutti gli altri emergenti che sarebbe probabilmente più facile silenziare, ma grazie al nome dei grandi artisti e la paura di una ripercussione mediatica, in qualche modo fanno da madrine e padrine agli artisti più giovani cercando di garantire loro uno spazio di libertà e di espressione.
[A.P.]: A me veniva in mente qualcosa un po’ più forse a livello anche emotivo, perché poi noi appunto parliamo della nostra professione in modo tecnico, però non dimentichiamoci che in quanto persone creative, in quanto artisti, abbiamo poi una componente, perlomeno le artiste, però anche i curatori, in generale chi lavora nell’ambito culturale ha una componente emotiva che ci spinge a fare quello che facciamo. E pensando un po’ alle mie diverse esperienze in un arco di anni anche abbastanza concentrati… a me quello che a un certo punto è per certi versi pesato nello stare lontano dall’Europa… con tutte le problematiche politiche ed economiche che l’Europa ha, che il progetto europeo ha, che stiamo forse anche vivendo e vedendo in modo molto tangibile in questi ultimi anni… però quello che mi è mancato è la sensazione di radici, di poter contare su qualcosa che, anche se non è qualcosa che conosco, posso recuperare, posso recuperare facilmente, sia nella storia di quello che sono i nostri movimenti, in generale sia artistici ma anche politici, sia semplicemente anche nel rapporto con gli altri, con l’altro, con le altre, con la famiglia, con gli amici. C’è un qualcosa che a me, a livello a un certo punto proprio personale e culturale, ha fatto fuggire sia dagli Stati Uniti che dalla Cina, che sono paesi che adoro dal punto di vista anche storico-culturale per le diversità che hanno. Io lavoro molto con la geografia, per cui per esempio gli Stati Uniti e la Cina sono paesi incredibili da visitare anche per le assurdità proprio che portano con sé. Però ecco, se entrambe hanno questo fascino per lo straniero e quindi tu sei straniera in quanto italiana, in quella terra sei straniera e porti un’eredità con te che è legata alla nostra cultura. Si stupiscono tutti moltissimo quando sanno che noi artisti in Italia non abbiamo la maggior parte dei diritti che invece, per esempio, negli Stati Uniti gli artisti hanno… la maggior parte dei fondi a cui possono accedere. In Cina, invece, sembra un po’ uno stereotipo, però è vero che ancora viviamo di questo fascino che possiamo in un qualche modo esercitare per la capacità che abbiamo nella pittura, nel design, nella moda, nella cucina. E di questo anche si può vivere, sono cose che si possono sfruttare. Ma o si entra poi in quel sistema, in quei diversi sistemi, con tutte le conseguenze anche del caso, per cui vuol dire anche imparare a mercanteggiare in un modo diverso, oppure si fa veramente fatica. E arrivando da un paese in cui già noi mercanteggiamo tanto per poter lavorare, perché alla fine i nostri contratti sono una costante negoziazione di “ma no, dammi questo, no dammi quello”, ma io ho diritto a questo che tu non mi vuoi dare. E quindi diventa pesante. Per me è diventato necessario… ho iniziato a guardare il nostro settore in un modo molto diverso, ho iniziato ad avere forse anche un po’ di rabbia e tenerezza allo stesso tempo per la fragilità con cui il nostro paese cerca di andare avanti nel promuovere la cultura, ma allo stesso tempo fallendo nel proteggere la propria stessa cultura. E il motivo per cui poi ho deciso che tornavo in Europa, anche se poi in Italia non riesco a stare tanto, è quello che forse stando più vicini a casa si ha la sensazione di poter essere più utili, e cercare in qualche modo di fare gruppo assieme, ti spinge un po’ a sentirti meno sola, a sentirti meno fragile, a poter parlare più liberamente, cosa che magari invece all’estero non sai concretamente o non puoi concretamente fare.
[N.F.]: Io volevo rilasciarmi velocemente a quanto detto da Alice, proprio sul senso di spaesamento, di alienazione, che può prendere in certe situazioni. Io sono fuori ormai da 15 anni, quindi ho fatto il callo a muovermi, ad essere abbastanza nomade, e adesso sto cercando di muovermi di nuovo dopo diversi anni passati qui. Quindi si è sempre così, a scrutare l’orizzonte. Però effettivamente può diventare un peso, e mette certe problematiche in prospettiva. Anche personali, devo dire. Per quanto riguarda l’ambiente di lavoro qui, siamo tutti disposable, almeno gli expert, per cui possiamo essere rimpiazzati dall’oggi al domani, che dà anche un senso proprio di impermanenza delle cose, e che purtroppo il sistema è questo. E non lo posso cambiare io, perché non ho gli strumenti, e non avrei comunque voce, e se ci provassi sarei rispedita probabilmente al mittente, a casa dei miei. Ma detto questo, penso che un elemento che ho acquisito proprio da questi anni, e lavorando in grossi musei, soprattutto comunque entrando in contatto con persone, curatori, conservatori, che lavorano in altrettante grosse istituzioni museali, mi sono accorta di quanto ci sia da fare, proprio a livello di strutture in Italia. E di quanto si sia indietro, di quanto le mostre, ancora oggi, almeno per quelle che ho potuto visitare nei pochi giorni che di solito riesco a rientrare in Italia… sono mostre fatte ad uso e consumo dei curatori, e del loro ego, per la maggior parte, e della pubblicazione di un bel catalogone di quelli belli grossi che se li tira in testa la gente li ammazzi. Ma non sono fatte per, diciamo, io uso una... devo parafrasare Mao, non sono fatte per servire i visitatori, che non vuol dire essere proni al visitatore, ma mettersi anche nei panni di sta povera gente che si trova, non lo so, la Gerusalemme Liberata, sui pannelli esplicativi, quando invece bisognerebbe proprio dare una bella scrollata al sistema e una bella svecchiata, che è anche uno dei commenti che io ricevo di solito. Ossia, sei italiana, cosa ci fai fuori dall’Italia? Siete pieni d’arte? Eh sì, pieni d’arte ma senza lavoro.
Cartoline
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[A.S.]: E su questa ultima battuta vorrei ringraziarvi, vorremmo ringraziarvi tantissimo per averci accompagnato in questo viaggio dal Mediterraneo, passando per il centro Europa fino al mare del Nord, e speriamo anche di aver dato qualche spunto di riflessione utile e interessante rispetto al tema del lavoro artistico-culturale a livello anche transnazionale. E per concludere vorrei dire a chi ci ascolta che nella descrizione del podcast trovate tutti i link a cui abbiamo fatto riferimento durante questa conversazione, e ricordarvi che per dimostrare il vostro supporto ad AWI, potete associarvi e trovate tutte le informazioni sul sito www.artworkersitalia.it e dato che però il programma si chiama Baci da AWI, vorrei chiedervi a chi vorreste inviare una cartolina, da dove e perché.
[T.A.]: Posso partire io? Mi piacerebbe inviare una cartolina a Dash Che, artista che è partitə dalla Finlandia e sta attraversando… adesso in questo momento credo che sia da qualche parte in Estonia e arriverà in Grecia, e in questo viaggio sta presentando la performance Bear My Love nelle piazze e nelle strade, indossando un costume da orso e facendo una critica al patriottismo del suo paese di origine, la Russia. Quindi vorrei mandare il mio saluto con questa cartolina che sicuramente arriverà al mittente, visto che non so dov’è di preciso.
[F.M.]: Ma forse solo una brevissima nota di qualcosa che volevo dire prima, ma parliamo di viaggio e di mobilità, quindi la butto un attimo qua dentro adesso e forse anche un po’ un promemoria del fatto che questa condizione di mobilità e di ipermobilità che viviamo e di cui ogni tanto ci lamentiamo anche, è una condizione di enorme privilegio e che molte persone, artisti e non, non possono vivere. E nello specifico, più che una cartolina, io manderei un pensiero in solidarietà nello specifico ovviamente agli abitanti di Gaza e dei territori occupati in Palestina, dove forse la condizione di immobilità forzata è la più pesante e grave e drammatica da tantissimi decenni. Grazie.
[S.B.P.]: Mi accodo anch’io a quello che diceva Francesca e vorrei mandare invece una cartolina a tutte le istituzioni culturali, soprattutto occidentali, che hanno sfruttato, fino a quando si poteva fare, avere degli artisti palestinesi in mostra, nelle call, per cercare di portare avanti questo pensiero postcoloniale. Quando poi è venuto il momento di schierarsi, purtroppo sono ancora poche le istituzioni che lo hanno fatto e insomma come ricercatrici credo davvero che il pensiero postcoloniale non è solo un pensiero teorico, ma abbia anche una sua base pratica e quindi rimandiamo questo reminder via cartolina.
[F.F.]: Mi sembra un ottimo modo di concludere la puntata, quindi vorrei rinnovare i nostri ringraziamenti. Grazie a tutti per aver partecipato e a presto. Baci da AWI!
Montaggio di Federico Chiari. Puoi contattare Baci da AWI scrivendo a awi.segreteria@gmail.com.
Per approfondire i temi discussi nella puntata:
https://feministculturehouse.org/
https://no-niin.com/
https://www.stophatrednow.fi/
https://www.bbk-berlin.de/berufsverband-bildender-kuenstler_innen-berlin
https://www.berlin.de/sen/kultur/foerderung/foerderprogramme/bildende-kunst/
https://www.igbk.de/en/
Tea Andreoletti, Sofia Baldi-Pighi, Nicoletta Fazio, Francesca Masoero, Alice Pedroletti, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti
Francesca Masoero lavora come curatrice, ricercatrice e organizzatrice culturale prevalentemente a Marrakech (Marocco). Tea Andreoletti lavora a Helsinki (Finlandia) come artista nel campo della performance e live art. Sofia Baldi Pighi è una curatrice, direttrice artistica della Biennale di Malta 2024. Alice Pedroletti, artista e ricercatrice, oggi vive a Berlino e si occupa di archiviazione come pratica artistica. Nicoletta Fazio è curatrice per l’Iran e l’Asia Centrale presso il Museum of Islamic Art, Doha.