Arte Lavoro Genitorialità
The Glorious Mothers (Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Caterina Pecchioli e Miriam Secco), Camilla Mozzato, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti
Il tempo della vita e il tempo dell’arte sono spesso due temporalità che si confondono ed intersecano. Ma cosa accade quando oltre la nostra vita, subentrano responsabilità di cura verso un altro essere umano? Baci da AWI incontra alcune associate per discutere di lavoro e genitorialità nel nostro settore.
Highlight
- Presentazione 00:00:00
- Una questione femminile (e femminista) 00:11:37
- Il tempo del lavoro e il tempo della cura 00:23:35
- Di quali cambiamenti sostanziali avremmo bisogno? 00:31:41
- Family Audit e kindergarten: strumenti a disposizione 00:38:20
- Quale ruolo per figli e figlie 00:49:15
- Cartoline 00:58:30
Presentazione
00:00:00
Fabiola Fiocco: Ciao a tutte e a tutti e benvenuti alla quarta puntata del podcast Baci da AWI, la capsula digitale del Giornale dell’Arte realizzata da Art Workers Italia, trovate l’indirizzo al sito nella descrizione del podcast. Baci da AWI racconta come le lavoratrici dell’arte e della cultura si muovono nell’attuale scenario economico e produttivo italiano. È un contenitore di pratiche, resistenze ed esperienze che raccoglie contenuti crossmediali: podcast, interviste, saggi brevi e appunti di viaggio in forma audiovisiva realizzati dalle socie di AWI insieme ad associazioni, organizzazioni e persone alleate. Abbiamo pensato ad un diario di viaggio che tocca diverse regioni della penisola per restituire una fotografia del paese reale da nord a sud, tra centro e periferia, che mette in discussione le narrazioni dominanti e anacronistiche che vedono l’Italia come un luogo meraviglioso ma immobile.
Alessandra Saviotti: Baci da AWI è un toolkit aperto, assemblato collettivamente per orientarsi nel settore dell’arte contemporanea e immaginare altri modi di praticare il lavoro culturale e artistico. Fino a giugno 2024 ospiteremo lavoratrici, lavoratori, attiviste e attivisti per parlare del tema del lavoro artistico e culturale contemporaneo, in particolare analizzando gli strumenti che le lavoratrici e i lavoratori dell’arte possono utilizzare per orientarsi nel settore. Per realizzare questa puntata abbiamo coinvolto associate di AWI per parlare di lavoro e genitorialità nel nostro settore.
[F.F.]: Per cui siamo qui oggi con Camilla Mozzato e il collettivo The Glorious Mothers, rappresentato da Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Caterina Pecchioli e Miriam Secco. Benvenute a tutte! Noi siamo Fabiola Fiocco e Alessandra Saviotti e modereremo la conversazione. Per cominciare vorremmo chiedervi di presentarvi brevemente, entrando magari già nel vivo della puntata e spiegandoci un po’ il vostro rapporto con la maternità e l’attivismo.
Camilla Mozzato: Buongiorno a tutte e a tutti, io sono Camilla Mozzato, sono una curatrice, lavoro principalmente al Centro Pecci di Prato e sono docente coordinatrice a IED. Faccio parte di AWI da diverso tempo ormai. Non so se consciamente o meno, ma è certamente diventato, per quanto mi riguarda almeno, un punto di riferimento nel panorama italiano per quanto riguarda la definizione e le istanze che tutelano il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici dell’arte. Io mi sono avvicinata proprio nel frangente della mia prima maternità, curiosa di capire se i problemi con cui mi interfacciavo quotidianamente erano condivisi o meno. Sfortunatamente ho scoperto che erano ampiamente condivisi in un settore in cui il social washing è all’ordine del giorno, in cui le istituzioni trattano quotidianamente temi importantissimi e complessi, che vanno oggi dal decolonialismo alla tensione alla sostenibilità, al concetto di benessere o gender equality, ma che poi non trovano una rispondenza nella gestione delle persone, quasi mai… forse alle volte sì e io non le conosco… ma tendenzialmente poi non rispecchiano gli obiettivi della narrazione messa in mostra che viene riportata al pubblico.
Sara Basta: Ciao a tutte e tutti, sono Sara Basta, sono artista visiva e una docente all’Accademia di Belle Arti di Roma. Faccio parte di AWI dal 2020, dal periodo della pandemia, che ha coinciso anche con i primi confronti che poi hanno portato alla nascita del nostro collettivo The Glorious Mothers. Il motivo per cui faccio parte di AWI coincide anche con quello per cui sono nel collettivo The Glorious Mothers, ossia il desiderio di sentirmi più tutelata sia come lavoratrice dell’arte che come madre artista. Nel nostro gruppo oltre a noi presenti oggi è composto anche da Daphne Salis, da Vera Maglioni e Lorena Peris. Il collettivo The Glorious Mothers è un gruppo di discussione e confronto sul tema della genitorialità all’interno delle arti visive. Il nome che abbiamo scelto è chiaramente ironico e allude all’essere gloriose, a una postura con cui rispondere al contesto tragico che viviamo in Italia sia appunto come madre che come artiste. Come collettivo cerchiamo di manifestare le nostre criticità cercando di nominarle e renderle quindi visibili. Dall’inizio portiamo avanti una ricerca legata alla decostruzione degli immaginari legati alla maternità per provare a ripartire dalle nostre esperienze personali e dare voci ai diversi modi di essere genitori cercando di superare tutti gli stereotipi legati all’istituzione familiare. Siamo dislocate in diversi lati d’Italia, da Napoli a Roma, a Firenze e Varese e quindi ci incontriamo durante l’anno sempre online e riusciamo a organizzare però una residenza una volta all’anno tutte insieme con i nostri figli e le nostre figlie.
Cristina Cusani: Ciao a tutte e a tutti, io sono Cristina Cusani, sono un’artista visiva e fotografa di architettura di interni e vivo a Napoli. Sono socia di AWI dal 2021, ovvero da prima di diventare madre e quindi prima di entrare a far parte del collettivo delle Glorious Mothers. Appena ho conosciuto AWI mi sono associata perché è uno strumento molto utile che mi ha aiutato a prendere coscienza della mia condizione di artista e lavoratrice e a cui mi rifaccio costantemente per mantenere salda la dignità del mio lavoro, quindi grazie. E poi quando sono entrata a far parte del collettivo delle Glorious Mothers, ho scoperto che tutte loro erano anche anche socie di AWI, quindi questa cosa mi ha fatto piacere.
Mariana Ferratto: Ciao a tutti e a tutte, io sono Mariana Ferratto. Anche io sono un’artista visiva e docente. Ho fatto parte prima del collettivo The Glorious Mothers e attraverso il collettivo ho conosciuto AWI. Partecipo a entrambe le cose perché sono due mezzi importanti per rivendicare un po’ la situazione dei lavoratori dell’arte. Con The Glorious Mother, in particolare, della condizione delle madri artiste.
Francesca Grossi: Ciao a tutte e a tutti, sono Francesca Grossi, sono un’artista, faccio parte del duo Grossi Maglioni e del collettivo The Glorious Mothers dal momento in cui è nato. Sono associata ad AWI dagli inizi. Diciamo che nel momento in cui sono diventata madre l’aspetto legato ai diritti e al riconoscimento della professione è diventato fondamentale; e quindi essere dentro The Glorious Mothers e dentro AWI è diventato necessario perché... bisogna assolutamente che il lavoro artistico venga riconosciuto. Inoltre, sono anche docente all’accademia e devo dire che utilizzo spesso gli strumenti che AWI offre anche durante le mie lezioni, perché è importante che già dal momento in cui si studia si capisca che il lavoro deve essere pagato, quali sono le regole che bisogna rispettare, quali sono le cose che si possono chiedere alle istituzioni nel momento in cui ci si interfaccia con loro. Quindi per questo io trovo veramente utilissimo il lavoro che viene fatto da AWI perché vengono finalmente delineate anche delle regole che non ci sono assolutamente nel sistema dell’arte.
Caterina Pecchioli: Ciao, sono Caterina Pecchioli e anch’io sono artista visiva, ricercatrice e direttrice artistica; e lavoro con temi sociopolitici. Molto spesso utilizzo l’attivismo e pratiche che si indirizzano sulle dinamiche socioculturali e politiche e quindi unisco spesso l’arte anche alla mia vita professionale e personale. In questo caso è stato abbastanza naturale entrare nel gruppo delle Glorious Mothers per cercare sia con l’arte che con la politica di spingere verso alcune istanze che ci sono care e per il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali per le artiste madri. E non solo quelli per artiste madri: io ho iniziato la mia vita professionale in un altro paese che è l’Olanda, dove ho lavorato per otto anni e dove ho visto un bel divario rispetto a quelle che sono invece le condizioni dell’artista visiva e degli artisti in generale in Italia. E quindi mi sento anche molto vicina agli obiettivi di AWI per individuare e identificare quali possono essere delle nuove soluzioni da attivare, anche prendendo esempio dall’Europa del Nord dove già sono attive, per migliorare le nostre condizioni lavorative e, in primis, essere riconosciute.
Miriam Secco: Ciao a tutte e a tutti, io sono Miriam Secco, vivo a Varese. Sono un’artista visiva e insegnante. Dall’esperienza della maternità ho iniziato a prendere reale coscienza del mancato riconoscimento dell’artista come professione e delle enormi difficoltà a portarla avanti da quando sono genitore… insomma genitrice. Per cui quando durante il Covid-19, durante la pandemia, ho conosciuto AWI, ho iniziato a seguirlo e a farne parte, l’ho trovato davvero fondamentale per prendere coscienza e collettivamente… quindi rendermi conto che non era soltanto una mia condizione; e anche come strumento di crescita per cercare di portarci dei diritti, farci riconoscere dei diritti. Quasi contemporaneamente sono entrata nel collettivo di The Glorious Mothers, altra fonte di grandi risorse perché mi sono ritrovata in un collettivo al cui interno tutte quante vivevano più o meno le stesse difficoltà, le stesse esigenze e tutta una serie di dinamiche che sentivo anch’io fondamentali.
Una questione femminile (e femminista)
00:11:37
[F.F.]: Grazie, grazie mille a tutte per questo giro di presentazioni. È bello che attraverso questa capsula si stia riuscendo anche a restituire un po’ la natura corale di AWI e le diverse esperienze alleate di lotta con cui si interseca poi sia l’associazione… ma proprio il tema del lavoro e dei diritti del lavoro. Adesso forse vorrei fare un passo indietro, che mi serve anche per fare una precisazione che per noi è importante e che serve un po’ a contestualizzare anche i temi che affronteremo in questa puntata. Nonostante il tema della puntata sia volutamente lavoro, arte e genitorialità, mantenendo dunque una visione inclusiva del tema, è vero ed è ancora molto evidente come l’attivismo e l’interesse su queste tematiche risulti essere ancora predominatamente femminile e, mi sento di dire, femminista. L’idea della lotta attorno al lavoro di cura è una lotta che nasce insieme al movimento femminista e che è molto legata al lavoro precario, invisibile e non riconosciuto in quanto tale, che poi sono degli elementi che in un certo senso caratterizzano il lavoro artistico e che appunto sono anche alcuni degli ambiti di lotta dell’associazione. Per dare un senso di questa comune precarietà, volevo leggere brevemente un estratto dal report sulla maternità in Italia nel 2022 di Save the Children, che poi linkeremo anche tra i contenuti nella descrizione della puntata. Cito: “Una prima osservazione, che risalta dall’analisi dei dati, comunque, è che in nessun paese dell’Unione il divario di genere nell’occupazione è risultato a favore del versante femminile della popolazione. Ruoli sociali stereotipati, discriminazioni, coscienti o meno, segregazione professionale che concentra le donne in determinati settori lavorativi. Sono molti i fattori che contribuiscono ad alimentare il divario occupazionale tra i generi”. Ecco, questa questione legata anche alla generale precarizzazione del lavoro, a quello che diverse teoriche e teorici hanno definito “femminilizzazione del lavoro”, è qualcosa che possiamo ritrovare anche all’interno di AWI. Ad esempio, facendo riferimento all’indagine di settore realizzata da AWI tra il 2020 e il 2021, è interessante come più del 60% delle intervistate e degli intervistati si identifichino come donne. Una composizione che caratterizza non solo AWI e il direttivo di AWI, ad esempio, quindi il gruppo più attivo di lavoro, ma anche diversi dei gruppi dei diritti dei lavoratori dell’arte nati in Europa durante il Covid. E quindi, mantenendo questa connessione tra lotte artistiche e lotte femministe, volevo appunto chiedervi quanto vi riconoscete in questa eredità artistico-politica del femminismo e del discorso del lavoro di cura portato nello spazio istituzionale espositivo dalle artiste… attraverso quella che viene definita Maintenance Art, attraverso performance e installazioni… e anche quanto, secondo voi, dopo più di mezzo secolo, questi temi siano entrati nella discussione, ma soprattutto nelle policy delle istituzioni, passando quindi da una parte più rappresentativa ad una più strutturale.
[C.M.]: Io mi ritrovo perfettamente nella descrizione del report di Save the Children che citate. Facendo un passo indietro, apprezzo il tentativo di AWI di inclusività, “Lavoro, arte e genitorialità”, però poi noi di fatto qui siamo nove donne… perché questo è purtroppo un tema che riguarda le donne in maniera preponderante, non ci sono colleghi uomini qui, non credo soltanto perché magari voi non li avete contattati, ma perché vivono una situazione completamente diversa dalla nostra, e sono d’accordissimo con Fabiola quando dice che bisogna fare un passo indietro, perché qui stiamo innanzitutto parlando di femminismo. Sono tantissime le occasioni, le battute svilenti… che io invito davvero tutte e tutti a segnare in un taccuino, perché alle volte si tende a scordarsi le cose, si tende a dimenticarle per, giustamente, andare avanti e procedere… ma invece è veramente importante essere sul pezzo, perché la lotta e l’attivismo devono essere quotidiani e battenti sempre. Anche nelle istituzioni che noi definiamo come culturali, purtroppo manca completamente questo aspetto che è culturale e che sicuramente, come dice Save the Children, riguarda tutti gli stati membri dell’Unione. Diciamo però che alcuni paesi hanno delle policy, in generale che riguardano il mondo del lavoro, verso la maternità, la genitorialità, diverse. Se noi guardiamo gli staff delle istituzioni italiane, per esempio, vediamo che c’è una preponderanza maschile e femminile nelle basi, e c’è spessissimo una preponderanza maschile nelle leadership. Questo non può non collegarsi alla puntata di oggi, perché è ovviamente il tema, è la principale differenza che c’è nell’ambito lavorativo tra noi e i lavoratori di sesso maschile… che si identificano come sesso maschile. Questo purtroppo è il primo step che riguarda noi. Io lavoro in un’istituzione principalmente, ho lavorato a lungo come curatrice indipendente, però la cosa che vedo e che vedo sempre è che poi, quando si tratta di prendere persone a lavorare, purtroppo si fanno delle domande super discriminanti, si fanno continuamente. Nel mondo dell’arte (che si autodefinisce mondo dell’arte, già questo secondo me è lo specchio di una realtà molto rumorosa) prevede spessissimo che il femminile venga occupato negli strati più bassi, meno retribuiti e meno gratificanti. Quando poi si decide che la persona può maturare, il tema maternità subentra e molto spesso fa riferimento a una vicenda molto triste, per una lavoratrice o un lavoratore o una professionista in generale. Quindi si, io mi rivedo perfettamente in questo report di Save the Children, mi rivedo anche adesso che ho due figlie e le mie figlie iniziano ad essere un pochino più autonome, hanno 3 e 6 anni… però non è cambiato una virgola, anzi all’aumentare di figli aumentano anche le discriminazioni, quindi è veramente molto difficile oggi, secondo me, per una donna lavorare nel campo culturale. Davvero.
[F.G.]: Allora, c’è un aspetto anche che bisogna evidenziare che riguarda il tipo di lavoro che spesso viene svolto dalle donne, perché appunto succede che viene ricoperto maggiormente un ruolo legato alla cura, quindi professioni che sono legate alla cura. Ad esempio, io insegno in accademia nel Dipartimento di Arte per la Terapia, e ho notato che il 95% delle studentesse sono donne: questo vuol dire che anche nell’ambito della professione di arte-terapeuta, si pensa che quello sia un lavoro che le donne possono svolgere di più rispetto agli uomini. Quindi questa è anche una riflessione che dovremmo fare. E naturalmente riguardo alle lotte che le artiste negli anni ’70 hanno portato avanti, sia portando il discorso sulla maternità all’interno delle istituzioni, ma anche all’interno delle famiglie, è importante… Noi ci siamo confrontate in questi anni, come Glorious Mothers, con un collettivo che è il Gruppo Femminista Immagine di Varese, che è stato attivo dagli anni ’70 fino alla seconda metà degli anni ’80, e abbiamo ricercato questo dialogo proprio per capire quale fosse il terreno comune nel quale stiamo operando oggi, quali fossero le istanze, le necessità di artiste che negli anni ’70 parlavano di maternità. Ci sono delle differenze rispetto a come la maternità veniva vissuta all’interno della famiglia, o almeno questo è quello che abbiamo appreso parlando insieme a Mariuccia Secol, che è una di queste artiste del Gruppo Femminista Immagine di Varese… perché dai suoi racconti ci siamo rese conto come la possibilità di essere madri e artiste era completamente negata. Quindi tantissimi artisti hanno veramente rifiutato non solo il lavoro domestico, ma anche quello di cura legato alla maternità. Noi oggi forse lo facciamo un po’ meno, anche se sicuramente la scelta di diventare madri, genitore, è una scelta che molte di noi, molte artiste, ancora non fanno per tutelare la propria professione. Poi rispetto a questo tipo di discorso all’interno delle istituzioni, sicuramente oggi è una tematica che viene affrontata all’interno delle istituzioni… ci sono tanti gruppi di artiste donne (anche all’estero, molti) però poi questo non riflette in realtà le pratiche che vengono portate avanti all’interno delle istituzioni: quindi tutto quello che riguarda appunto i diritti delle lavoratrici, un certo tipo di assistenza rispetto alle necessità dei figli… insomma quello che appunto dovrebbe essere il lavoro di cura delle istituzioni nei nostri confronti. Quindi questo assolutamente manca: c’è proprio un’incongruità totale tra quello che le istituzioni dicono e poi quello che fanno. Poi anche un altro aspetto che secondo me è importante sottolineare: il discorso intorno alla maternità è ancora un discorso divisivo anche tra di noi artiste e colleghe. È spesso un discorso divisivo ed è per noi sempre stato difficile trovare un punto in comune, un accordo con le altre, perché portiamo avanti delle istanze che sono molto molto specifiche. Riguardano veramente la nostra condizione di essere madri, le necessità dei figli, il fatto che non abbiamo, ad esempio, l’asilo nido perché non siamo riconosciute come lavoratrici. Ci sono delle istanze molto molto pratiche che dobbiamo portare avanti.
Il tempo del lavoro e il tempo della cura
00:23:35
[A.S.]: Per cui a questo punto vorrei chiedervi di fare una sorta di riflessione rispetto proprio all’asimmetria tra il tempo del lavoro e il tempo della maternità, il tempo della cura e capire se sia effettivamente necessario ripensare la struttura del lavoro. Quindi non fare in modo che la condizione di essere artista, lavoratrice dell’arte, madre, si adatti al contesto di lavoro per andare avanti, ma che si operi qualcosa in contrario. Che sia, in realtà, la struttura del lavoro del nostro settore che si deve adattare alle condizioni di essere artista, curatrice, lavoratrice dell’arte e anche madre o genitore.
[M.F.]: Noi abbiamo riflettuto come gruppo The Glorious Mother molto su questo argomento perché abbiamo riscontrato che per qualunque lavoratore quando diventa genitore i tempi cambiano… cioè per qualunque individuo i tempi cambiano, perché l’aspetto della cura prende il sopravvento e diventa in qualche modo necessario per la sopravvivenza del nuovo essere che arriva. Tuttavia, noi in quanto lavoratrici dell’arte, in particolare artiste, il problema è dato principalmente dal fatto che il lavoro artistico spesso non è remunerato in maniera diretta… non è che le ore di lavoro vengono retribuite così direttamente. Non viene considerato il lavoro artistico come lavoro, principalmente. E questo fa sì che sia da un punto di vista istituzionale, ma anche da un punto di vista intimo e familiare riscontriamo questo problema. E, quindi, considerando il tempo lavoro come un tempo non fondamentale, diventa un tempo non più necessario che può essere tolto. Per cui spesso ai lavoratori dell’arte e soprattutto agli artisti questo tempo, anche da un punto di vista intimo e familiare, non viene più valutato come tempo di lavoro: per cui si tende a eliminare per mettere il tempo alla cura. Inoltre, diciamo che la maternità, quindi i primissimi anni o i primissimi mesi di vita di un neonato implicano una concentrazione maggiore del proprio tempo sul neonato. E questo fa sì che per un periodo, a volte più lungo, a volte più breve, però per un periodo relativamente grande noi non riusciamo più a lavorare. Questo implica dei buchi che si trovano sia nel curriculum che nel portfolio. E questi buchi fanno sì che per la partecipazione a concorsi si evidenziano… cioè rimangono dei buchi, non un’attività diversa o comunque un momento di cura. Ci crea un sacco di svantaggi, sia per il curriculum ma anche nella partecipazione attiva nell’arte, diciamo all’interno del sistema dell’arte… sia attraverso gli inviti di mostre o anche solo a essere presenti ad eventi artistici. La non partecipazione crea un allontanamento e un isolamento della madre o anche del padre, insomma, del genitore artista. Noi lo viviamo in quanto madre, perché spesso la cura viene comunque delegata principalmente alla madre. Questo fa sì che poi rientrare nel sistema dell’arte, rientrare in tutta una serie di meccanismi diventa difficile. Non si sa bene come rientrare. E, inoltre, anche gli orari delle inaugurazioni, gli orari degli eventi sono sempre dopo le 18, orari che invece, per quanto riguarda la cura dei bambini e delle bambine, è il momento in cui invece hanno bisogno della nostra presenza, perché le scuole ovviamente sono chiuse, e i vari eventi non sono organizzati anche per la loro presenza, per cui implicano la decisione di non poter partecipare. Perché se uno cerca di partecipare con loro diventa quasi un alieno che va a vedere una mostra. L’ultimo aspetto che noi come Glorious abbiamo un po’ analizzato invece è anche quello della iperproduzione: per quanto riguarda gli artisti, c’è una richiesta di iperproduzione e quasi di autosfruttamento del nostro lavoro. Per cui, nel momento in cui la vita insieme ai bambini e alle bambine, quindi dedicare del tempo alla cura, ci richiede l’impossibilità di una iperproduzione… e anche non voler stare per forza in quei ritmi… ci crea degli svantaggi e degli allontanamenti a questo sistema.
[C.M.]: Io sono d’accordo e verifico esattamente come The Glorious Mothers le stesse dinamiche. Io credo che si possa aggiungere soltanto una piccola cosa. Se si lavora all’interno di un’istituzione, quindi con una minima fascia di gerarchia e di possibilità di crescita, anche evolutiva, e quindi di contratto e di capacità economica… una cosa che mi è capitato di verificare molto spesso è che i periodi di assenza lavorativa o i buchi di cui voi parlavate nel cv, poi sono buchi che restano anche all’interno dell’istituzione, quindi la tua capacità di crescita all’interno dell’istituzione va a zero, perché naturalmente i tuoi colleghi che non hanno questa esperienza e in quell’arco di tempo possono, per esempio nel mio caso, curare, seguire molti più progetti; e quindi chiaramente il loro curriculum si forma e migliora in maniera sostanziale, mentre il tuo di madre resta a zero. Resta esattamente al punto in cui inizi, tra virgolette, a trascurarlo… è una parola orrenda, ma è proprio questo il tema… perché l’istituzione, la fondazione, la società, la galleria per cui lavori non è in grado di metterti in una condizione di pari opportunità rispetto ai colleghi o alle colleghe. E questa è una cosa che io verifico sempre con colleghi di generazioni diverse, di età diverse e spesso di un sesso diverso dal mio. Questo chiaramente mette le donne soprattutto, le madri, in un’ulteriore condizione di isolamento e discriminazione, perché è evidente che a un certo punto vieni percepito come un lavoratore un po’ a metà. Non sei una lavoratrice un po’ a metà, non sei un lavoratore un po’ a metà. Noi facciamo tutti quanti un lavoro che si lega all’essere umano. Se questi esseri umani non vengono prodotti, poi a un certo punto finisce anche la necessità del nostro lavoro, in qualche modo. E quindi sì, mi sento di dire che questa condizione di discriminazione a un certo punto, per quanto mi riguarda, vede un tracollo lavorativo. Perché, appunto, il tempo di cura e le ore della giornata sono molto limitate.
Di quali cambiamenti sostanziali avremmo bisogno?
00:31:41
[A.S.]: A questo proposito, quindi, mi vorrei riallacciare a quello che è stato detto, rispetto proprio anche alle difficoltà di partecipare 100% come lavoratrici dell’arte nel sistema, nel mondo dell’arte, nel settore dell’arte. Per cui, dato che abbiamo parlato delle criticità, vorrei chiedervi se, secondo voi, ci sono, o quali sono… perché ci sono, ma quali sono i cambiamenti sostanziali che dovrebbero essere fatti per rendere il lavoro nell’arte più accessibile a chi è madre. E abbiamo parlato degli opening, quindi difficoltà di partecipare agli opening, perché sono ad orari serali, ad esempio. Però mi viene in mente anche, e magari è qualcosa che voi come Glorious Mothers avrete sicuramente pensato: la necessità di avere qualcuno, ad esempio babysitter, che aiuta durante gli opening… per le installazioni ad esempio, oppure proprio durante i periodi di residenze, oppure rispetto ai viaggi, molto frequenti, che dobbiamo praticamente quasi tutte fare; o anche lunghi periodi di residenza all’estero o in luoghi diversi rispetto a quelli in cui risiedete, che devono vedere una sorta di organizzazione anche dei figli e delle figlie, magari in altre scuole, asili, eccetera, eccetera. Quindi, sì, questo ero curiosa di chiedervi.
[C.C.]: Diciamo che, allacciandomi anche a quello che diceva Camilla sul fatto di essere considerati dei lavoratori a metà, il cambiamento più sostanziale di cui avremo bisogno, come sempre, è un cambiamento culturale proprio… cioè di pensare alla genitorialità come un luogo prezioso per la pratica creativa, non un ostacolo che vada evitato o superato. Perché, ovviamente, pensare alla presenza dei figli o delle figlie all’interno del sistema dell’arte come un qualcosa che vada agevolato o addirittura incoraggiato piuttosto che evitato, permetterebbe alle artiste, nel nostro caso, di sentirsi parte di un sistema e non fuori. Nel pratico, diciamo che andare incontro a quelle che sono le necessità dei bambini e delle bambine è un modo per aiutare le madri e le artiste, no? Quindi: concepire degli spazi di cura dei musei in occasione delle mostre, delle inaugurazioni, oppure, come diceva Mariana prima, ripensare agli orari degli appuntamenti lavorativi in modo che non coincidano proprio con i momenti in cui i nostri figli hanno più bisogno di noi. Alla fine, rendere i luoghi dell’arte accessibili ai bambini e alle bambine è anche un modo per educare i bambini e le bambine all’arte e, quindi, volendo, potrebbe anche essere proprio un investimento che le istituzioni fanno per il futuro di loro stessi… vabbè questa è un’utopia ovviamente. Però diciamo che per una madre artista sarebbe importante prevedere uno spazio o un sostegno economico o pratico. Ad esempio con una figura che possa prendersi cura dei bambini o delle bambine durante le residenze d’artista oppure anche delle extra fee per le necessità di rimborso spese dei viaggi non solo dell’artista ma anche dei bambini al seguito. Perché ovviamente, soprattutto nei primi anni di vita, i bambini e le bambine sono una parte inscindibile dalla madre, quindi sarebbe importante poter pensare alla maternità come a un diritto, senza sentirsi sempre di pretendere qualcosa di enorme, no?
[S.B.]: Sì, volevo aggiungere a quello che dice Cristina semplicemente una cosa: l’idea non soltanto di accogliere in uno spazio ma proprio di pensare uno spazio, adattarlo alle necessità. Non solo, per esempio in una residenza, consentire il fatto che vengano dei figli, ma anche adattare delle zone in modo che abbiano degli spazi per loro e non siano soltanto una valigia che ti fanno portare con te.
[C.M.]: All’estero molto spesso, anche in ambito universitario, succede che le università mettono a disposizione dei kindergarten, e questo secondo me sarebbe di enorme utilità per quanto riguarda, per esempio, i grandi eventi come biennale o fiere… cosa che in Italia non succede. Addirittura a me è stato detto, in un’occasione, che non potevo portare le mie figlie all’interno, quindi sono stata automaticamente esclusa. In Italia questo succede veramente di rado, e succede di rado anche nelle istituzioni che molto spesso, tra l’altro, da noi hanno un carattere pubblico e quindi, onestamente, trovo che sarebbe una cosa piuttosto banale mettere insieme un kindergarten per le istituzioni di una città medio-piccola italiana di provincia che possa coprire le esigenze degli operatori, delle operatrici del campo teatrale, artistico, museale… non dovrebbe neanche rappresentare uno sforzo così grande. Il tema è sicuramente un tema culturale. Come dicevano le mie colleghe prima, è un tema che riguarda la mentalità con cui siamo abituati a interfacciarci. Per cui tutte queste cose che avrebbero una soluzione piuttosto semplice in realtà si scontrano con un’ottusità, con un’incapacità di pensare all’altro, che è molto forte e probabilmente vince purtroppo… al momento, quantomeno.
Family Audit e kindergarten: strumenti a disposizione
00:38:20
[A.S.]: Infatti, a proposito di questo, dato che come associazione, AWI lavora, tra le altre cose, nel pensare e poi cercare di realizzare strumenti che possano dare più tutela ai lavoratori e lavoratrici dell’arte, ci chiedevamo se esistessero degli strumenti già a disposizione che sono poco conosciuti che però potessero essere applicati. Ad esempio, riferendoci di nuovo a questo report di Save the Children, siamo venute a conoscenza di questo Family Audit, che è in pratica un sistema per certificare le aziende pubbliche ma anche quelle private che garantiscono delle misure a sostegno delle famiglie, dei genitori, dell’infanzia e dell’adolescenza. Quindi, ad esempio, certificano il fatto che in determinate aziende pubbliche e private ci siano asili accessibili oppure congedi parentali flessibili in caso di malattia. Chiaramente queste sono tutte cose di cui parliamo nel momento in cui la lavoratrice e i lavoratori siano effettivamente riconosciuti. Però, insomma, dato che i piani di lavoro dell’associazione sono vari, magari c’è qualche strumento di cui voi siete a conoscenza che potrebbe magari essere preso, rielaborato e riadattato. Oppure non so se c’è qualche proposta che voi avete fatto a qualche istituzione o a qualche residenza, per esempio, che potrebbe essere appunto rielaborata, ripresa ed effettivamente attivata.
[C.M.]: Ma io penso che davvero un buon sistema di kindergarten sia alla base della possibilità dell’individuo di lavorare. E non è una cosa così complessa di realizzare, specialmente se le istituzioni riescono a mettersi insieme, quindi anche quando non hanno un numero di dipendenti così importante, riescono però a rispondere alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Un’altra cosa che secondo me potrebbe essere molto utile al di là di tutte le misure già esistenti da INPS (e quindi i vari congedi parentali di varia natura, che si possono ottenere in diverse modalità) sono sicuramente tutte le attività che riguardano il periodo estivo, che è un periodo di grosso impegno lavorativo, tendenzialmente per le istituzioni e per gli artisti, perché ci sono moltissime residenze per gli artisti e per le artiste, ci sono moltissimi eventi anche di grande scala… quindi, davvero, il pensare banalmente alla possibilità di fruizione dei centri estivi da parte di questa classe di lavoratori e di lavoratrici non necessariamente referenti a delle istituzioni, come nel mio caso, ma lavoratori che vedono riconosciuta la loro professione, la loro professionalità, io credo sarebbe molto importante. Molto banalmente tutti i musei ormai organizzano dei centri estivi, perché le famiglie sono tendenzialmente al collasso… (d’estate, succede un patatrac enorme rispetto alle carenze della scuola italiana che continua ad avere un sistema di vacanze basate sul calendario del grano… stiamo parlando di cose assurde). E non mettono a disposizione questo tipo di attività poi ai lavoratori e alle lavoratrici dell’arte, quindi creando un controsenso enorme. Io penso davvero che si possano fare poche cose e che sarebbero davvero essenziali per la riuscita dei lavoratori e delle lavoratrici e il ritorno a un riconoscimento delle loro attività, senza per forza doversi trovare sempre nella situazione di postluare dei servizi che sono veramente minimi, che sono alla base di una buona gestione del tempo vita-famiglia-lavoro, evidentemente.
[C.P.]: Allora io mi collego un attimo a Camilla proprio per un esempio: noi adesso andremo in residenza alla Fondazione Pistoletto a fine luglio e siamo felicissime perché saremo in un contesto dove ci ospitano, quindi è molto bello. Noi facciamo queste residenze particolari con i figli e alcune attività le facciamo assieme a loro, perché appunto culturalmente vediamo ispirazione, prendiamo ispirazione dai figli; altre invece abbiamo bisogno di farle in autonomia. Quindi abbiamo bisogno di un budget, perché sono 12-15 bambini e bambine, di età dai 3 ai 14 anni, anche 2, forse il più piccolo adesso ha un anno… quindi ci dobbiamo organizzare: ovviamente pagheremo un servizio che fortunatamente ha la Fondazione Pistoletto di campi estivi, di centri estivi, però lo dobbiamo pagare… quindi noi andiamo a fare il nostro lavoro e abbiamo dei costi. Apro e chiudo parentesi, ma diciamo che noi oggi in Italia lavoriamo come lavoratori, diciamo, invisibili. Nel senso, noi non abbiamo neanche un codice Ateco che ci rappresenti, cioè nel momento in cui io ho dovuto scegliere il codice Ateco ho avuto molta difficoltà, perché non c’è un codice Ateco per artisti e artiste visive. Quindi questo è un problema, grave, perché senza un codice che ti rappresenta non esiste questa figura professionale. Allora, la prima cosa per riuscire poi a lavorare su dei diritti specifici di alcune figure all’interno del gruppo artisti visivi, prima di tutto bisogna riconoscere quella professione. Quindi, a livello proprio pratico, la prima cosa (che so che AWI ci sta lavorando) è il riconoscimento di un codice Ateco; e quindi la possibilità, con quel codice, di riuscire a scaricare anche con regimi forfettari spese di lavoro autonomo quali l’affitto dello studio, le spese interne, i materiali per la produzione, eccetera. Come dicevamo prima, noi ci siamo anche ispirate al nord Europa, quindi oltre al codice Ateco vediamo l’importanza di uno stipendio come quelli dell’Olanda, che sono stipendi flessibili, cioè sono stipendi non mirati a una produzione specifica o a un periodo di ricerca specifico, ma sono degli stipendi annuali che l’artista, una volta riconosciuto in quanto tale, quindi attraverso dei criteri chiari, trasparenti, di selezione, gli viene dato o lo star stipendium, appena finito di studiare, oppure il basic stipendium dopo alcuni anni dall’inizio della carriera. Questi fondi ci permetterebbero, madri o non madri, genitori o non genitori, di lavorare comunque ed avere un sostegno per questa professione, aiutando l’autonomia economica in generale. Poi ovviamente, se avessimo già questo apporto economico, nello specifico ci possono essere… come sempre in Olanda hanno appena avviato il Mondrian Fund, dei voucher di artista con bambino o bambina. Quindi sono dei voucher che vanno a sostenere ulteriormente l’artista durante periodi di residenza o di produzione. Altre soluzioni, appunto, sono state già menzionate da Cristina precedentemente.
[M.S.]: Ecco, io invece mi collego con Caterina proprio rispetto al codice Ateco, proprio perché non avendo un sostegno economico riconosciuto per la nostra professione, ci troviamo nella condizione di fare quasi sempre altri lavori. E, come si diceva anche prima, spesso in contesti educativi come l’insegnamento (anche questo non è un caso), che però spesso vanno in conflitto con la continuità della nostra pratica artistica. Capita moltissime volte di dover stare via un certo periodo per residenze artistiche, ma abbiamo magari un contratto con un altro lavoro che non ce lo permetterebbe. Il riconoscimento della professione in quanto tale già aiuterebbe molto nel riuscire a far convivere anche le diverse professioni. E quindi il codice Ateco, che a noi manca, non è soltanto una questione pratica, concreta, come giustamente diceva Caterina, ma anche un piccolo passo secondo me culturale, per cui chi lavora al di fuori del cosiddetto mondo dell’arte comincia a capire che l’arte è anche, e soprattutto contemporanea, e che ci sono dei lavoratori in questo ambito. E poi molto importante: contributi ulteriori per genitori single, e questo dico in generale perché troppo spesso, anche in affidamento condiviso, corrisponde invece tutto il carico sia educativo che economico dei figli. Quindi a quel punto senza uno stipendio minimo all’artista la produzione viene necessariamente interrotta, a volte anche per anni… il tracollo lavorativo di cui parlava prima Camilla. E qui mi ricollego al fatto che andrebbero per esempio previsti oltre ai bandi under 40 (gli ex under 35) anche più bandi per artisti e artiste a metà carriera o affermate. Proprio riflettendo sul fatto che si creano questi buchi nel curriculum, insomma delle politiche che prevedano la nostra esistenza come artisti genitori che hanno questi buchi lavorativi.
Quale ruolo per figli e figlie
00:49:15
[F.F:]: È tutto veramente interessante e anche emozionante, nel senso che mi sembrano tutte strategie e riflessioni che hanno… avrebbero una reale applicabilità che poi avrebbe una risonanza potente per tantissime persone. Nel preparare questa puntata ci siamo cominciate a interrogare anche un po’ sul ruolo dei figli e delle figlie all’interno del discorso attorno alla genitorialità. Anche riflettendo su quello che è uscito nel corso della conversazione, ho trovato molto forte l’espressione dei lavoratori a metà. Quindi il fatto che una madre o un padre, una volta che si aggiunge questa responsabilità di cura, perde della legittimità. Che è un po’ anche qualcosa che riflette la gerarchia tra lavoro materiale e lavoro immateriale e la gerarchia tra diverse soggettività, per cui poi un genitore diventa inferiore rispetto a una lavoratrice o un lavoratore autonomo affermato. E le diverse dinamiche di potere che questo comporta. Collegandomi anche a quello che diceva Caterina, avete detto che voi cercate anche di prendere l’ispirazione dai figli. Conoscendo un po’ il lavoro che state facendo con The Glorious Mothers, volevo chiedervi quali possibilità e come riuscire a superare questa narrazione gerarchica attorno ai figli e alle figlie e riconoscerne l’agency e l’autodeterminazione all’interno dei processi e dei progetti di “inclusione”. Superando dunque quell’idea delle attività family friendly come sempre delegate al dipartimento educazione, sempre declinate in forme che vedono il bambino e la bambina come qualcosa da attivare, a cui insegnare, da gestire.
[S.B.]: Su questo ci siamo confrontate molto, in particolare nel primo periodo in cui il collettivo si è formato, perché oltre a confrontarci su quelle che erano le nostre esigenze, sulle difficoltà, ci siamo confrontate sulle nostre pratiche e su come queste si erano trasformate dopo essere diventate madri. Quindi ci siamo confrontate sul fatto che abbiamo cercato di osservarci a vicenda e capire come erano cambiati anche i nostri lavori. E abbiamo verificato il fatto che ognuna di noi in qualche modo aveva incluso sia il periodo della gravidanza, della maternità, che poi l’arrivo dei figli e delle figlie all’interno di qualche progetto. Quindi diciamo che, come singole, abbiamo lavorato includendo i figli semplicemente perché ognuna di noi lavorava su aspetti della vita e anche questo era diventato uno degli elementi che naturalmente sono entrati nel lavoro. Non è stata una coprogettazione, chiaramente, ma un’osservazione e un tentativo di costruire, di trasformare gli spazi del lavoro anche in base alle conseguenze dell’arrivo dei figli. Posso dire con certezza che per ognuna di noi, anche quando aveva magari delle idee più definite inizialmente su un progetto in cui voleva inserire la partecipazione dei figli, è stato necessario poi che l’idea si trasformasse… è stato necessario accogliere la presenza dei figli anche in maniera imprevista: accettare appunto l’imprevedibile che la loro presenza portava. Come gruppo quando facciamo le residenze, quando abbiamo fatto dei periodi di lavoro e di ricerca insieme abbiamo cercato di coinvolgere figli e figlie nelle attività lasciando però sempre degli spazi liberi, dei momenti di gioco in cui alternare le nostre proposte a spazi non determinati da noi adulte. Ci siamo sempre domandate come accogliere le loro esigenze e le loro richieste. Ci siamo anche accorte che quando sono più piccoli è molto facile includerli, è molto facile che siano loro a chiedere di partecipare e che vogliano stare insieme e stare dentro anche i lavori. Chiaramente anche inconsapevolmente: se trovano uno spazio in cui possono sperimentare e giocare vogliono starci. Quando sono più grandi succede anche che bisogna accettare che non vogliano starci in quello spazio e questo è il loro modo di prendere spazio e di autodeterminarsi. Bisogna accettare i loro rifiuti sia di prendere parte dell’attività che anche di non voler venire alle residenze, perché prendono strade diverse, si staccano e, crescendo, chiaramente non vogliono esserci sempre. Come ascoltarli è una domanda che ci continuiamo a porre sempre. Come accogliere il loro punto di vista su quello che facciamo è una riflessione che quest’anno ci ha portato a immaginare, per la prossima residenza a Pistoletto, uno spazio in cui registrare le loro risposte rispetto a quello che percepiscono del nostro lavoro. Noi sappiamo bene quali sono le nostre difficoltà, le nostre criticità nell’essere artiste e madri, ma non sappiamo esattamente quali sono le difficoltà loro come figli. Una parte di residenza abbiamo pensato di dedicarla a questo, all’ascolto delle loro criticità rispetto alla nostra professione. Non sappiamo ovviamente ancora cosa succederà.
[M.F.]: Inoltre rispetto al nostro lavoro personale come artiste, volevo aggiungere che abbiamo notato il fatto che nel momento in cui siamo diventate madri abbiamo cambiato molto anche come progettare un lavoro, come lavorarci, perché avendo il tempo continuamente interrotto dalla loro presenza quando sono piccoli, dalle loro malattie quando sono un pochino più grandi… anche i materiali che abbiamo iniziato ad utilizzare si sono modificati, per cui, magari, da grandi le opere sono diventate più piccole per poterle portare a casa e non lavorare solo a studio. Sono magari opere che si possono riprendere in vari momenti. L’elaborazione può essere ripresa in vari momenti quindi in qualche modo anche i nostri elaborati si sono dovuti adattare alla loro presenza.
[C.M.]: Per quanto riguarda la dimensione curatoriale io penso che la genitorialità dia la possibilità di ripensare il tempo della propria giornata in maniera molto più razionale. Io mi trovo a “perdere” molto meno tempo. Ad essere molto più efficiente, per forza chiaramente. Allo stesso tempo però ho un arricchimento che è molto più profondo per quanto riguarda tutta la parte di ricerca che ora è molto più rivolta al futuro e al domani rispetto a quanto non fosse quando ero sola e il mio mondo ero io, di fatto… i miei amici, la mia famiglia, però chiaramente con dinamiche relazionali molto differenti rispetto a quelle della genitorialità. Io penso che la chance e, in più, l’arricchimento che io ho quotidianamente si ritrovi davvero nel pensare al futuro, nel pensare che cosa lascerò a loro, nel pensare che potrei non esserci domani, molto prima di quanto mi auguro. Quindi davvero di rileggere le esposizioni, e tutte le attività a cui lavoro, tutte le mostre, le talk o anche l’insegnamento… rileggerle con un linguaggio che sia rivolto a loro e rivolto al domani e a tutti quelli che potrebbero essere i loro interessi in futuro, più che ai miei. Il futuro è una tematica che abbraccia molto di più il mio pensiero adesso e tutta la parte di ricerca.
Cartoline
00:58:30
[F.F.]: Noi purtroppo siamo arrivate verso la conclusione di questa conversazione, anche se mi rendo conto che è una conversazione gigantesca e sicuramente non esauribile attraverso una puntata di un podcast, però volevo già ringraziarvi, intanto, per aver complicato il discorso sulla genitorialità. Per essere un po’ uscite fuori dai soliti temi e le solite soluzioni semplici o idealizzazioni della genitorialità e del rapporto con questo lavoro artistico e con la vita. La vita anche come lavoro riproduttivo. Però, prima di concludere, dato che il programma si chiama Baci da AWI, vorremmo appunto chiedervi a chi vorreste inviare una cartolina, da dove, a chi appunto, e perché.
[C.M.]: Io vorrei mandare una cartolina da qui oggi alla mia ex direttrice, Cristiana Perrella, che alla comunicazione della mia prima maternità, mentre ero molto agitata per come avrei potuto gestire il lavoro in quel determinato contesto, per me nuovissimo, all’epoca, mi disse: che bella notizia, i bambini portano tantissima gioia e, anche se non ti sembrerà, porteranno moltissimo ordine nella tua vita e ti ritroverai ad essere necessariamente una professionista migliore di quella che sei oggi. Non voglio essere discriminatoria rispetto a chi di figli non ne ha, non ne vuole avere, non può averli, ovviamente, però in quel momento era davvero quello di cui avevo bisogno ed è di fatto una frase che mi sono sentita di condividere con moltissime amiche e colleghe che hanno avuto figli dopo. Così, come pensiero di speranza in una gestione più efficace della genitorialità in futuro e per combattere tutti i pensieri, i retropensieri grigi su quale sarà il destino lavorativo. Il destino lavorativo deve essere florido perché deve essere legato alle nostre capacità, alle nostre competenze. La genitalità non può che essere un momento di arricchimento in questo senso.
[M.S.]: Noi invece abbiamo pensato, come The Glorious Mothers, di mandare la nostra cartolina a tutti i direttori dei centri per l’arte contemporanea e, contemporaneamente, alle nostre famiglie. Una cartolina da una delle nostre residenze: questi momenti di lavoro e di condivisione per noi mamme, e gioco e condivisione per i nostri figli e le nostre figlie e un’immagine ironica per il numero abnorme di partecipanti ad una fotoritratto; bucolica perché siamo sempre immerse nella natura ed enigmatica perché è difficile capire se siamo stati ritratti in un momento di caos totale oppure se quella è la nostra normalità. E magari come sottotitolo all’immagine “The Unglorious Mothers”.
[C.P.]: Poi una cartolina la vorremmo mandare a Maruccia Secol, artista del gruppo Femminista Immagine di Varese, oggi quasi centenaria, per dirle che raccogliamo il suo testimone.
[A.S.]: Perfetto, e su quest’ultima cartolina colgo l’occasione, innanzitutto, per ringraziare tutte voi, le nostre ospiti di oggi e tutti i nostri ascoltatori e ascoltatrici e speriamo di aver dato qualche spunto di riflessione rispetto al tema della maternità e della genitorialità nel settore artistico. Per concludere: nella descrizione del podcast trovate tutti i link a cui abbiamo fatto riferimento durante questa conversazione e per dimostrare il vostro supporto ad AWI potete associarvi e per farlo trovate tutte le info sul nostro sito www.artworkersitalia.it. A presto e Baci da AWI!
Montaggio di Federico Chiari. Puoi contattare Baci da AWI scrivendo a awi.segreteria@gmail.com.
Per approfondire i temi discussi nella puntata:
Report di Save the Children - Le Equilibriste, maternità in Italia nel 2022
https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/le-equilibriste-la-maternita-italia-nel-2022_0.pdf
The Glorious Mothers
https://www.thegloriousmothers.com/
Articoli: https://www.thegloriousmothers.com/single-project
The Glorious Mothers (Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Caterina Pecchioli e Miriam Secco), Camilla Mozzato, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti
The Glorious Mothers è un collettivo di artiste (Sara Basta, Cristina Cusani, Mariana Ferratto, Francesca Grossi, Vera Maglioni, Caterina Pecchioli, Lorena Peris, Dafne Salis e Miriam Secco) che affronta la questione della genitorialità nell’ambito delle istituzioni dell’arte. Camilla Mozzato (1982) è curatrice al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci (Prato, IT) dal 2016, dove ha realizzato diverse mostre e pubblicazioni. Ha preso parte al programma Curating in Gallery Field del De Appel Arts Centre di Amsterdam. Dal 2017 insegna Curatorial Practice presso IED.