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Mi Riconosci?

Rosanna Careri, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti

Baci da AWI incontra “Mi riconosci?” un’associazione fondata nel 2015, attiva nel garantire informazione, denunciare e formulare proposte su temi inerenti le condizioni di lavoro nel settore dei beni culturali in Italia. Fabiola Fiocco e Alessandra Saviotti intervistano Rosanna Careri, attivista di “Mi riconosci?”

Presentazioni

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Fabiola Fiocco: Ciao a tutte e a tutti e benvenute a Baci da AWI, un progetto editoriale di Art Workers Italia ospitato dal Giornale dell’Arte. Trovate l’indirizzo al sito nella descrizione del podcast. Baci da AWI racconta come le lavoratrici dell’arte e della cultura si muovono nell’attuale scenario economico e produttivo italiano. È un contenitore di pratiche, resistenze ed esperienze che raccoglie contenuti crossmediali: podcast, interviste, saggi brevi e appunti di viaggio in forma audiovisiva realizzati dalle socie di AWI insieme ad associazioni, organizzazioni e persone alleate. Abbiamo pensato ad un diario di viaggio che tocca diverse regioni della penisola per restituire una fotografia del paese reale da nord a sud, tra centro e periferia, che mette in discussione le narrazioni dominanti e anacronistiche che vedono l’Italia come un luogo meraviglioso ma immobile. 

Alessandra Saviotti: Baci da AWI è un toolkit aperto, assemblato collettivamente per orientarsi nel settore dell’arte contemporanea e immaginare altri modi di praticare il lavoro culturale e artistico. Fino a giugno 2024 ospiteremo lavoratrici, lavoratori, attiviste e attivisti per parlare del tema del lavoro artistico e culturale contemporaneo, in particolare analizzando gli strumenti che le lavoratrici dell’arte possono utilizzare per orientarsi nel settore. Siamo qui oggi con Rosanna Carrieri che ci parlerà di “Mi riconosci?” sono un professionista dei beni culturali". Quindi benvenuta Rosanna. 

Rosanna Carrieri: Ciao a tutti, grazie dell’invito. 

[F.F.]: Grazie a te per aver accettato. Inizierei subito chiedendoti se vuoi raccontarci quando e come è nata “Mi riconosci?” e di cosa vi occupate in particolare

[R.C]: Certo, “Mi riconosci?” è nata subito dopo la legge Madia del 2014 che aveva l’obiettivo di definire sette professioni in particolare dei beni culturali. È nata come una campagna inizialmente, partendo dall’esigenza di chiedere la pubblicazione dei debiti della legge madia. Nel tempo ci siamo rese conto del bisogno di dare voce sostanzialmente alle lavoratrici e ai lavoratori, ma anche agli studenti e alle studentesse degli ambiti dei beni culturali. Quindi dal 2015 è stato un percorso ormai quasi decennale, sono otto anni che “Mi riconosci?” è attiva... Siamo diventati col tempo prima un collettivo, poi un’associazione e da ultimo anche scegliendo di rinunciare a una parte del nostro nome: perché “Mi riconosci? sono un professionista dei beni culturali” nasceva proprio con l’obiettivo di porre provocatoriamente una domanda e dare anche una risposta che consentisse un riconoscimento professionale di ambiti in cui purtroppo spesso si risente tuttora di una retorica per cui è tempo libero e non davvero professionalità che si formano con lunghi anni di studio. Abbiamo poi scelto nella forma dell’associazione di rinunciare alla seconda parte, quindi “sono un professionista dei beni culturali”, per conservare solo la domanda “Mi riconosci?” sia perché ormai è diventata un po’ simbolo  delle nostre attività, delle nostre campagne, dei nostri lavori; e anche perché abbiamo allargato sempre più lo sguardo e ci sembrava opportuno essere ancora più inclusive, in qualche modo, lasciando solo la domanda, auspicando che poi ognuno dia la propria risposta. 

Gli strumenti a disposizioni degli art worker

03:55

[A.S]: Grazie mille per questa prima risposta e grazie anche per aver spiegato l’origine del nome e poi come si è evoluto. A questo punto vorrei chiederti quali sono gli strumenti che “Mi riconosci?” mette a disposizione dei lavoratori e delle lavoratrici della cultura. 

[R.C]: Principalmente facciamo informazione, che è una cosa a nostro avviso fondamentale e assolutamente non scontata, soprattutto per come negli anni i beni culturali e il lavoro nei beni culturali si è andato sempre più frammentando… in realtà come l’intera società si è andata frammentando e dividendo… quindi soprattutto tramite i nostri canali social, ma anche il nostro sito… poi l’abbiamo fatto anche con il libro che abbiamo pubblicato qualche anno fa, che faceva un po’ il punto della situazione e dell’attività di “Mi riconosci?”... cerchiamo di spiegare i meccanismi della gestione del lavoro nei beni culturali… il perché di determinate condizioni, quindi più che strumento concreto, l’informazione per noi rappresenta uno strumento nell’idea di consapevolezza, di creare consapevolezza e di far capire quali sono le condizioni innanzitutto di altre lavoratrici e di altri lavoratori, quindi in qualche modo anche dare voce attraverso la pubblicazione di testimonianze, piuttosto che di confronti, anche momenti di dibattito, di presentazioni sui territori. Dare voce e collettivizzare delle cose che sembrano personali, singole, ma invece sono le condizioni di tante e tanti di noi nel settore. D’altra parte, ovviamente, nei casi in cui ci sono determinate situazioni che lo richiedono, non manca l’indirizzare verso sindacati di riferimento, più attivi sui territori. Però ecco, direi che la risposta alla domanda è l’informazione, come primo strumento necessario per creare consapevolezza. 

Come cambia il lavoro culturale

06:03

[A:S.]: Grazie mille, in effetti questo è un punto abbastanza importante: come creare anche banalmente più consapevolezza di quello che già esiste e magari anche di strumenti che già esistono senza doverne produrre di nuovi. Quindi l’informazione e far rete mi sembra una delle cose più importanti che anche noi come AWI stiamo cercando di fare, ovviamente da meno tempo. A questo proposito avete notato un cambiamento nella percezione del lavoro culturale sia da parte delle addette e degli addetti ai lavori che dal grande pubblico, dalla nascita dell’associazione ad oggi? 

[R.C]: Sì, sicuramente abbiamo notato una maggiore consapevolezza, questo sì. Forse prima, anche per una situazione forse diversa… vuoi anche il fatto che nasciamo comunque come gruppo anche come molto giovani, appena usciti dall’università o ancora alle prese con lo studio… abbiamo davvero sentito l’esigenza di dire a gran voce queste cose, come funzionavano le cose, rompendo un po’ quel velo e quel silenzio che c’era. Quindi negli anni abbiamo percepito che adesso c’è meno paura di raccontare le proprie esperienze, le proprie condizioni di lavoro… anche attraverso, appunto, dicevo prima, la nostra pagina Facebook, ma anche il sito... insomma, più persone sono venute anche alla consapevolezza di quali erano i propri diritti. Un esempio tra tutti l’esistenza del contratto Federculture. Spesso c’è stato detto negli anni che molti lavoratori non erano a conoscenza che ci fosse una tipologia di contratto collettivo nazionale di riferimento per il nostro settore, quando invece vengono applicate tipologie contrattuali che non sono propriamente le nostre. In questo momento, va detto, ci sono diverse vertenze in corso nei musei, nelle biblioteche, a Verona, Milano, Firenze, Torino, ma tante altre… quindi anche sicuramente tramite i loro sindacati, i lavoratori e le lavoratrici stanno chiedendo l’applicazione del contratto giusto, però... direi che in qualche modo abbiamo contribuito, non voglio dire che “Mi riconosci?” ha dato il là al processo di cambiamento, però sicuramente credo abbiamo contribuito a raccontare, a mettere per iscritto cose che si raccontavano nei corridoi delle università, degli istituti culturali, ma che poi si tacevano fuori. Un altro aspetto che credo... o almeno abbiamo notato nel tempo, è anche una maggiore idea, rispetto al nostro pubblico, di un lavoro che sia dei beni culturali e che non sia più settorializzato. La nostra sfida all’inizio è stata anche quella di provare a raccogliere insieme archeologhe, storiche dell’arte, archiviste, bibliotecarie, antropologhe, paleontologhe, insomma le varie professioni dei beni culturali, invece che dare il via ad un’altra associazione di categoria. L’idea era proprio essere in qualche modo larghi, cioè partire da che cosa sono i beni culturali e chi si occupa dei beni culturali, e sono tutte queste professioni insieme, per cui anche in questo senso credo un minimo di consapevolezza maggiore c’è stata… almeno noi l’abbiamo percepita negli anni. 

Indagini di settore e rapporti con il Ministero

09:50

[F.F.]: Forse in questo frangente vorrei farti una domanda, perché come AWI tra il 2019 e il 2020 abbiamo realizzato un’indagine del settore che per noi è stato un momento molto importante, proprio per questa questione della consapevolezza, del capire che professionalità ci sono e che modalità di lavoro esistono all’interno del settore, e “Mi riconosci?” ne ha fatti diversi, siete molto esperti nella rappresentazione e interpretazione dei dati. E ricordo che sono uscite anche delle cose molto forti nell’elaborazione di quest’indagine. Non so se volevi dirci qualcosa anche su questo. 

[R.C]: Sì, forse anche tra gli strumenti, tornando alla domanda di prima, sicuramente anche quello delle inchieste, delle indagini che mettiamo in campo… non solo quelle sul lavoro, ne abbiamo fatte diverse anche su questioni di discriminazioni sul luogo del lavoro, o poi le inchieste sui monumenti. Ma rispetto alle condizioni di lavoro in particolare, ne abbiamo fatte diverse nel tempo, provando anche a capire come e se, nei fatti, siano cambiate le situazioni dei lavoratori. L’ultima l’abbiamo conclusa e presentata proprio a inizio del 2023: nei fatti fotografa la situazione fino al 2022, già prima ne avevamo fatta una centrale sulle condizioni di lavoro, ma nel 2019. Va detto che, essendo un settore che nel tempo, dal 1993 ma in qualche modo già prima, si è andato a dividere nelle gestioni, man mano esternalizzato... quindi è anche difficile: ad ora il Ministero, oltre ai dati sui turisti che entrano nelle domeniche gratuite, per rifarci ai grandi leitmotiv degli ultimi anni, piuttosto che quelli che entrano nei grandi siti… nei fatti, tra esternalizzati e interni, negli istituti culturali non ci sono dati, cioè gli unici dati che abbiamo sono quelli dei lavoratori dipendenti direttamente dal Ministero, quindi in qualche modo le nostre indagini si pongono innanzitutto quest’obiettivo: provare a fotografare la situazione nell’insieme. In questo caso, l’ultima presentata a Gennaio '23, ha avuto anche una partecipazione più ampia. I dati confermano una tendenza, sicuramente non troppo diversa da quella del 2018, nel senso che il Covid non ha peggiorato le situazioni, il Covid le ha solo rese esplicite. Le condizioni di lavoro sono nei fatti quelle, per cui molti lavoratori hanno il multiservizio e i servizi fiduciari come tipologia di contratto. Ad esempio, rispetto ai dati raccolti, solo il 6% ha testimoniato di avere federculture, che sono dei numeri estremamente piccoli, e che le retribuzioni sono bassissime. Senza richiamare tanti dati, sarebbe anche superfluo in questo caso riportarli, però ecco la maggior parte delle persone che hanno risposto all’indagine ha detto di non poter riuscire con quello che guadagna a garantirsi una vita dignitosa. Questo è un dato che non cambia, forse un po’ peggiora, ma anche perché il numero nel caso dell’ultima indagine di partecipanti è anche aumentato. Nel caso di questa indagine abbiamo provato anche a raccogliere informazioni non solo su lavoratori a contratto: anche con le partite IVA la situazione è esattamente la stessa, più datori di lavoro ma con retribuzioni molto basse. C’è addirittura, caso estremo, partite IVA che dipendono nei fatti dal Ministero, per cui c’è di tutto un po’. Il nostro intento... oltre alle risposte che ci servono a far emergere dei dati, abbiamo provato anche a lasciare ampio spazio alle testimonianze, e anche le testimonianze raccontano delle singole esperienze in questo senso… però c’è tanta voglia di romperlo questo muro e quindi proprio in questo senso, anche ritornando alla risposta di prima, la consapevolezza c’è, la voglia di mobilitarsi c’è, spesso ci si sente sole perché poi si è in due, in tre, in una nel luogo di lavoro e non è facile, però c’è voglia di riscatto e di farsi riconoscere appunto, scusate il gioco di parole un po’ banale, però per quello che è la propria professione. 

[F.F.]: Giustissimo, ricordo la conferenza stampa di gennaio: era stata veramente forte e d’impatto. Rimanendo sempre sul tema dell’azione, anche “Mi riconosci?”, come AWI, lavora molto per far sì che le proposte raccolte dal bacino delle associate e delle attiviste possano poi essere presentate alle istituzioni, quindi ministero o fondazioni, attraverso tavoli di lavoro come base per l’elaborazione di proposte di legge, quindi viene spontaneo chiederti a che punto siamo. 

[R.C]: Diciamo che il dialogo con il Ministero non è mai facile… però negli anni abbiamo sicuramente elaborato diverse proposte portandole anche all’attenzione. Penso al 2018, quando abbiamo proposto una modifica almeno di regolamentazione del volontariato, quindi provando ad intervenire sulla legge del 1993, la legge Ronchey, ma anche proposte di modifiche al codice dei beni culturali. È chiaro che poi anche i singoli lavori, i microinterventi che proviamo a fare rispetto ai dibattiti in corso nelle commissioni cultura piuttosto che nelle sedi del Parlamento sono tentativi... non è sempre facile e, in qualche modo, la direzione e la gestione, soprattutto, delle cose culturali, dei beni culturali, è andata un po’ nella direzione opposta rispetto a quello che noi chiediamo. Abbiamo una grande proposta, il nostro grande obiettivo… un po’ l’utopia… che è questo sistema culturale nazionale, una proposta anche molto ampia su cui stiamo lavorando da alcuni anni e che è sempre in definizione perché ha proprio questo obiettivo innanzitutto di provare a partire da alcuni punti essenziali: l’idea è quella di avere un sistema culturale nazionale che sia davvero nazionale, che non lasci indietro tutta una serie di piccoli istituti, piccoli musei aperti solo perché il volontario quel giorno va ad aprirlo, ma che provi intanto a dare ampio respiro a tutte le realtà culturali in termini di istituti. Ma dall’altra che rifinanzi il settore, perché se non lo rifinanziamo evidentemente sarà complicato. Quindi noi l’utopia l’abbiamo e l’obiettivo l’abbiamo… e come noi tante realtà, nel caso di AWI, e non solo… sono davvero tante le realtà che chiedono e hanno delle proposte ma anche semplicemente un’esigenza di riconoscimento che passa dal rifinanziamento, evidentemente. Non è sempre facile… si continua a spingere e fare pressione anche mobilitandoci, anche scendendo in piazza. Però va detto: mentre noi chiediamo la gratuità, chiediamo il riconoscimento delle professioni, chiediamo l’applicazione dei contratti, l’internalizzazione dall’altra è il ticket del Pantheon che viene messo all’ingresso. Per cui chiaro che la direzione sembra un po’ inversa. 

I successi delle campagne di “Mi riconosci?”

18:18

[A.S]: Grazie mille per queste risposte che danno anche un po’ più di voglia di partecipare anche a tutte queste azioni e a fare in modo che, come dicevi prima, una o uno si senta meno sola o solo nell’ambiente di lavoro. Per cui a proposito di questo, dato che ci hai parlato degli obiettivi a lungo termine, volevamo chiederti se puoi parlare un po’ dei successi delle campagne di “Mi riconosci?” sino ad oggi.

[R.C]: Sicuramente più in generale, al di là delle campagne, negli anni siamo riuscite ad attivare tante persone, tante lavoratrici per migliorare le condizioni. Avendo anche delle interlocuzioni locali, è ovviamente più facile lavorare su singoli territori, interloquire con le amministrazioni comunali piuttosto che regionali. Ad esempio, uno degli ultimi casi: a Verona il comune dopo la denuncia, passata anche per canali di informazione, si è fatto promotore dell’applicazione del contratto Federculture in tutte le città d’Italia. Ora bisognerà capire se questa cosa andrà in porto e come andrà in porto, però, in questo senso, nella specificità del dibattito attuale questo è un caso interessante di come anche le diverse mobilitazioni fatte sui territori hanno portato in alcuni casi a dei risultati o comunque sicuramente a una maggiore almeno consapevolezza da parte delle amministrazioni, e questo già è un punto. 
Un caso di successo, se possiamo definirlo così, sicuramente è stata l’indagine sui monumenti femminili. È stata un’indagine per noi centrale negli ultimi anni, perché ci abbiamo dedicato tanto a cominciare appunto dall’indagine e dalla mappa che aveva l’obiettivo di geolocalizzare la presenza nella statuaria pubblica femminile di personaggi realmente esistiti o comunque figure leggendarie… e abbiamo escluso le figure allegoriche più che altro. L’idea inizialmente era quella di mappare, a partire dal dibattito sulla “Spigolatrice”, e provare a capire quante donne vengono rappresentate e come vengono rappresentate. Nel tempo poi, raccogliendo i dati, ci siamo resi conto… anche avendo tanta ribalta sulla stampa internazionale… ma abbiamo anche relazionato, portato i nostri dati all’osservatorio per le pari opportunità del Ministro della cultura che si è anche impegnato… poi i cambi di governo, insomma, tutte le vicissitudini a cui la politica ci abitua e ci ha abituato negli anni… appunto ora vedremo se e come proseguirà il lavoro. Ma è una questione quella dei monumenti: e per questo la cito anche ora parlando di lavoro, che non è solo su come vengono rappresentate le donne… è sul fatto che noi siamo convinte che lo spazio pubblico sia uno spazio educante quindi passare a vedersi la lavandaia nuda, accovacciata su una tinozza è un problema davvero sociale che poi colpisce noi, il nostro sguardo ma anche le nuove generazioni e il modo in cui il loro sguardo viene educato. Ma anche una questione lavorativa, nel senso che poi, effettivamente, chi approva questo tipo di cose? Allora forse mancano le figure professionali che dovrebbero gestire questi processi? E d’altra parte, chi sono gli artisti coinvolti? Sono degli artisti, ci sono dei bandi? La maggior parte di questi artisti sono anche uomini, dai dati che abbiamo raccolto il 90% e anche di più sono uomini che hanno rappresentato le donne, con un determinato tipo di sguardo e quindi diciamo apre, quella dei monumenti femminili, a una serie di microindagini e di riflessioni che sono state per noi importanti. Tornando alla questione del successo… per noi è stato fondamentale che abbia avuto questo tipo di ribalta sicuramente. Siamo arrivati a pubblicare un libro che fa il punto della situazione e provava anche a fare degli avanzamenti, uscito nel 2023 e proprio perché è una questione che davvero interseca tanti ambiti, credo insomma anche il vostro come artiste o comunque operatrici dell’ambito contemporaneo… e quindi, in questo senso, credo che l’idea di una campagna che abbia successo o comunque un’indagine, un’inchiesta che abbia successo è strettamente connessa anche con la possibilità di allargare maggiormente la rete, di provare a porre delle questioni e quindi quella dei monumenti è emblematica ma anche appunto l’indagine sul lavoro ha avuto molto seguito per cui per fortuna si è riusciti a portare i dibattiti almeno in alcuni territori.

La cartolina

23:36

[F.F.]: Non possiamo che trovarci più che d’accordo e anche per questo abbiamo voluto ospitare te, ma soprattutto “Mi riconosci?” perché sentiamo che sia un’esperienza, un’associazione che porta avanti un lavoro davvero molto importante e d’impatto nel settore culturale. Dato che il programma si chiama Baci da AWI, vorremmo concludere chiedendoti a chi vorresti inviare una cartolina, da dove e perché?

[R.C]: Allora: la domanda più difficile... Pensavamo come “Mi riconosci?” di chiedervi di non inviare una sola cartolina ma magari tante piccole cartoline dai tanti luoghi di lavoro, dai tanti beni culturali che sono in stato di semi abbandono ma anche dei singoli lavoratrici e lavoratori che si sentono soli o comunque sentono questa necessità di riscatto ma non non vedono la speranza per il futuro. E quindi di inviare queste cartoline, con l’auspicio che un futuro migliore ci sia, al Ministero. Insomma, chiedendo di essere ascoltati e di essere riconosciuti.

[A.S.]: grazie mille Rosanna e “Mi riconosci?” e proprio in ultima nota dove vi possiamo trovare? Se qualcuno che ci ascolta in questo momento fosse interessato o interessata a raggiungervi dove vi trova? 

[R.C]: Siamo sui canali social: Facebook, Twitter, Instagram… abbiamo anche il sito miriconosci.it. Sul sito c’è una sezione apposita che appunto mappa i nostri gruppi territoriali e quindi anche i diversi contatti nelle regioni e anche i luoghi in cui ci riuniamo. C’è ampia possibilità sia sui social che anche di persona ovviamente

[F.F.]: Grazie mille e quindi è tutto da Baci da AWI, grazie Rosanna e grazie a voi.

Rosanna Careri, Fabiola Fiocco, Alessandra Saviotti

“Mi riconosci?” nasce nel 2015 come campagna per l’accesso alle professioni dei beni culturali e per la valorizzazione dei titoli di studio. Da allora tante sono state le battaglie, le azioni e le riflessioni maturate dentro quella che nel frattempo è diventata un'associazione, impegnata nel denunciare e scoperchiare la mala gestione del settore culturale e le condizioni di sfruttamento di chi ci lavora.

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